T. C. Boyle. The Inner Circle. London: Penguin. 2005.
Una recensione difficile, perché il romanzo è difficile da collocare (work of fiction, indubbiamente, come lo definisce l’autore, ma anche romanzo storico, come lo definirei io) e perché probabilmente mi sono complicato la vita in modo particolare leggendolo.
Forse la cosa più semplice da dire, ma anche la più significativa, è questa: era il primo libro di Boyle che leggevo e non mi è venuta voglia di leggerne altri.
Il romanzo è sgradevole, forse necessariamente tale. Boyle lo costruisce su due tensioni: quella sull’attrazione/repulsione per Prok (cioè per Alfred C. Kinsey) e quella sullo scarto tra sesso (proprio dello human animal) e amore (proprio delle singole persone, e in particolare dell’io narrante John Milk e di sua moglie Iris). Da questo punto di vista, il romanzo è riuscito, anche tecnicamente: dopo averti fatto subire tutto il fascino di Prok nelle prime pagine, Boyle ne fa emergere in una progressione infernale gli aspetti più sgradevoli e maniacali. La tensione sesso/amore è un po’ più scontata, ma alla fine – soprattutto nelle ultime pagine – funziona, anche se non spiega niente e lascia irrisolta soprattutto la figura di Iris. Va, in ogni caso, riconosciuto a Boyle di aver scritto un romanzo non manicheo, anzi ricco di sfumature e sospeso nei giudizi morali: in questo, la debolezza e l’irresolutezza dell’io narrante aiuta.
Va be’ – direte – alla fine la recensione l’hai scritta. Che cosa c’era di tanto difficile? Di difficile c’è che io di mestiere faccio il ricercatore, anzi dirigo ormai gruppi di ricerca (no, non in materia di sesso…). Molte delle tentazioni e dei problemi di Prok sono anche miei: per far procedere il lavoro di ricerca siamo disposti a tutto o quasi e manipoliamo in nostri collaboratori con promesse, lusinghe, minacce e una buona dose di seduzione (mica c’è solo la seduzione sessuale, c’è anche quella intellettuale). Talvolta, anche nelle mie materie, i risultati scientifici (che ci piace chiamare “evidenze”) mettono in questione le nostre opinioni più radicate (più raramente i nostri sentimenti). Sullo sfondo giganteggia il tema dell’etica della ricerca (che non coincide con quello di darsi un codice deontologico, cui oggi l’abbiamo ridotto).