Si inaugura qui una nuova rubrica, dedicata a collegamenti, legami, connessioni… ma soprattutto cortocircuiti, cioè connessioni inattese che “chiudono il cerchio” tra miei interessi e curiosità che credevo slegati.
Uno di questi eventi “folgoranti” (eh sì, con i cortocircuiti si può prendere la scossa e, a volte, andare a fuoco) ha a che fare con il concerto di ieri sera. Tanto Ali Ufki quanto Sweelinck fanno riferimento alla più famosa traduzione in francese dei Salmi, pubblicata a Ginevra nel 1562. Le traduzioni in “volgare” dei Salmi si cominciarono a fare dopo la Riforma e negli ambienti riformati, perché si riteneva che i salmi fossero fatti per essere cantati, e cantati dal popolo. La traduzione in francese, realizzata in ambito calvinista, fu tra le prime e ispirò le successive traduzioni in olandese, ungherese e ceco e, più tardi, in afrikaans e inglese. Alla traduzione ginevrina – tuttora quella canonica nei paesi francofoni – lavorarono Louis Bourgeois, Claude Goudimel, Théodore de Bèze e Clément Marot, il poeta.
Il destino di Marot è legato singolarmente alla sua traduzione dei Salmi. Poeta di corte di Margherita d’Angoulême e di Francesco I, era sospettato di simpatie eretiche e, per questo prima imprigionato (nel 1526) e poi costretto a fuggire a Ferrara alla più tollerante corte estense (tra il 1534 e il 1539). Riammesso a corte del re di Francia dopo un’abiura, una prima edizione dei Salmi diede all’accademia (la Sorbonne) l’occasione per accusare Marot di essere ancora un eretico. Nel 1543 fuggì quindi a Ginevra, ma poiché era un libero pensatore, più che un protestante, la sua presenza era sgradita anche nell’austera città di Calvino. Rifugiatosi in Piemonte, morì a Torino nell’autunno del 1544.
Dov’è il corticircuito? A Marot è dedicato un libro, forse il più personale, di Douglas Hofstadter, l’autore di Gödel, Escher, Bach: An Eternal Golden Braid (spero che, anche se non l’avete letto, sappiate di che cosa stiamo parlando; perché altrimenti ho paura che vi siate persi qualcosa d’importante negli ultimi ventott’anni!). Il libro si chiama Le Ton Beau de Marot: In Praise of the Music of Language e al suo centro c’è una breve poesia di Marot e i problemi legato alla sua traduzione (ce ne sono 88 nel libro). Ecco la poesia:
A une Damoyselle malade
Ma mignonne,
Je vous donne
Le bon jour;
Le séjour
C’est prison.
Guérison
Recouvrez,
Puis ouvrez
Votre porte
Et qu’on sorte
Vitement,
Car Clément
Le vous mande.
Va, friande
De ta bouche,
Qui se couche
En danger
Pour manger
Confitures;
Si tu dures
Trop malade,
Couleur fade
Tu prendras,
Et perdras
L’embonpoint.
Dieu te doint
Santé bonne,
Ma mignonne
Il libro sfolgora della brillante intelligenza di Hofstadter, naturalmente. Ma non riesco a leggerlo senza un nodo alla gola, perché è anche dedicato alla prematura scomparsa della moglie Carol, stroncata qui in Italia da un cancro al cervello. Doug stesso ce lo racconta nell’introduzione e nelle pagine finali del libro, che è quindi profondamente permeato di tristezza e rimpianto.