Ancora metadati: la classificazione dei bassotti

In un famoso racconto, una creatura di Cortazar decide di classificare in modo definitivo i bassotti.

Individuato il primo gruppo, formato da 8 bassotti, si accorge che deve a sua volta suddividerlo in tre sottogruppi – “bassotti baffuti, bassotti tipo pugile e bassotti stile segretario di ministero” – composti rispettivamente di 3, 3 e 2 bassotti.

Separatili sulla base delle nuova suddivisione, si rende conto però che il primo sottogruppo non è omogeneo, “perché due bassotti baffuti appartenevano al tipo roditore, mentre quello che restava era senza alcun dubbio un bassotto di taglio giapponese”.

Messo da parte quest’ultimo, si accinge ad annotare le caratteristiche del sottogruppo dei due roditori nella cartella dei suoi lavori scientifici, quando si girano di profilo: “mentre il primo roditore era un bassotto brachicefalo, l’altro bassotto metteva in evidenza un cranio molto più adatto per appenderci un cappello che per calzarlo”.

“Fu così – conclude Cortazar – che il sottogruppo le si dissolse tra le mani; quanto al resto, non vale neppure la pena di parlarne”.

(“La loro fede nelle scienze”. Julio Cortazar. I racconti. Torino: Einaudi-Gallimard. 1994. Riconosco con gratitudine a Phoebe il merito di aver attirato la mia attenzione su questo racconto e di averne sottolineato l’attinenza ai metadati.)

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Le avventure di Vinicio Duarte

Andrea Tomaselli. Le avventure del conte Vinicio Duarte narrate da un folle in una degenza di fine millennio. Roma: Il Filo. 2005.

Mi dispiace recensire negativamente un libro prestato e raccomandato da un amica. Ma mi sono proposto di recensire le mie letture, tutte, vie via che le concludo e non mi va di violare il principio alla seconda! Fatto sta che il libro, dopo un inizio incoraggiante, non mi è piaciuto.

Cito subito la cosa migliore: un certo uso del linguaggio, un turpiloquio giovanilistico abbastanza azzeccato.

Passiamo a quello che non mi è piaciuto. Intanto il prologo: inutilmente barocco. Perché non raccontare la storia direttamente, senza l’artificio di un narratore folle, che poi non torna più? Secondo artificio il vampiro: se ti sta sul cazzo l’intero pianeta, Andrea, e sei dell’umore di cui era Guccini quando ha scritto L’avvelenata, sfogalo in prima persona e non farlo dire a un altro. E guarda che scrivere di vampiri, dopo Bram Stoker e persino Anne Rice è diventato difficile. Terzo: l’indignazione è un oggetto di scrittura difficile, che richiede leggerezza e soprattutto – per quanto strano possa sembrare – empatia. Se non sei Swift, almeno cerca di essere Menandro (homo sum: humanum nihil a me alienum puto – era anche uno dei motti preferiti di Karl Marx). Infine, il peccato mortale: Baricco aleggia…

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