Credo

Non so se l’avete notato. Non si dice più “penso”, “opino” (OK, non s’era mai detto…), e neppure “secondo me”, “a parer mio”, “dal mio punto di vista”. Si dice sempre e soltanto: “credo” – anzi, “io credo”. Ormai è inflazionato, come il famigerato “attimino” e l’altrettanto insopportabile “quantaltro”.

Adesso, io sono ateo (anzi, in questo frangente storico, un ateo militante e un po’ settario). Mi arrogo anche un po’ il diritto di essere un ateo con cognizione di causa, essendo andato a scuola dai gesuiti (e ne vado orgoglioso), avendo frequentato preti e laici credenti di grande levatura morale e culturale (e ritengo un privilegio avera avuto queste occasioni d’incontro), avendo bazzicato gruppi e gruppetti variamente catto-comunisti (sono stato persino iscritto – oltre che al Manifesto-Pdup nei lontani anni Settanta – ai Cristiano-sociali di Carniti e Gorrieri in tempi più recenti). Ma penso che quello che sto per dire dovrebbe essere condiviso anche dai credenti – se, appunto, il mio ateismo non mi fa velo e la mia cognizione di causa mi soccorre: il verbo “credere” dovrebbe essere utilizzato propriamente per le questioni di fede, e non per l’espressione di qualsivoglia opinione, frivola e serissima che sia.

Il testo di riferimento, naturalmente, è Palombella rossa di Nanni Moretti.

Il dialogo tra la giornalista e Michele Apicella:

– No… io non lo so, però senz’altro lei ha un matrimonio alle spalle a pezzi…
– Ma che dice?!
– Scusi forse ho toccato un argomento…
– Non è l’argomento, è l’espressione!… “Matrimonio a pezzi”…
– Preferisce “rapporto in crisi”? Però è così kitsch!…
– [si tocca il cuore] Dove l’è andata a prendere quest’espressione, dove l’è andata a prendere?!…
– Io non sono alle prime armi…
– “Alle prime armi”?! Ma come parla?!
– Anche se il mio ambiente è molto cheap
– Il suo ambiente è molto … ?
CHEAP!
– [sberla] Ma come parla?!
– Senta ma lei è fuori di testa!!
– [sberla] E due! Come parla?! Come parla?! Le parole sono importanti! Come parla?!

Michele si arrabbia ancora per le espressioni:

Michele [rivolto a Mario l’allenatore]: “Pane per i loro denti”?! Ma come parli?!
Un avversario [lo “tira” sott’acqua]: Non è uno sport per signorine!
Michele [gli tira un cazzotto]: Gli ho dato un pugno. Gli ho dato un pugno… Saranno trent’anni che sento quest’espressione… “Non è uno sport per signorine”… Non è il contenuto, è l’espressione…
[viene espulso]

Michele rilegge la bozza dell’articolo scritto dalla giornalista e si infuria:

– Lei la deve cambiare questa espressione! “Trend negativo”… Io non l’ho mai detto! Io non l’ho mai pensato! Io non parlo così!

La “summa” della filosofia di Michele (e di Nanni Moretti)

– Chi parla male, pensa male e vive male. Bisogna trovare le parole giuste: le parole sono importanti!

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Catottrofobia

O “catoptrofobia”. La paura degli specchi. Dal greco kátoptron (specchio) e phobía (paura, avversione, ripugnanza).

La parola non compare nemmeno sul Vocabolario Treccani (dove ci sono, però, catòttrica, catòttrico e catottromanzìa), ma è compresa nella lista ufficiale delle fobie.

Naturalmente, è una condizione di cui soffrono i vampiri (sia quelli del mito, sia – apparentemente – le persone nelle condizioni cliniche assimilate al vampirismo). Ammesso che si possa scherzare su questo argomento, voi vi sentite vampiri? se sì, vi invito a rispondere a un’indagine scientifica sul fenomeno. Fate in fretta: la deadline (!) è il 31 marzo 2007 a mezzanotte.

Ringrazio Il barbarico re (che l’aria da vampiro ce l’ha!) per la segnalazione.

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