Ero convinto – non so se per averlo letto da qualche parte o per effetto di un ragionamento (lo ammetto, a volte mi capita) – che il fatto che le lancette dell’orologio si muovano in senso orario (per l’appunto) non fosse il risultato di una convenzione, ma fosse dovuto al fatto che nell’emisfero settentrionale, culla della nostra bella civiltà, il moto apparente del sole è in senso orario. Analogo percorso in senso orario è descritto a terra dalla nostra ombra (o da quella di un albero o di una casa: per questo alcuni di noi, in genere i maschi dalla specie, sono in grado di prevedere se l’auto parcheggiata resterà all’ombra o andrà al sole). Anche le meridiane orizzontali si comportanto allo stesso modo:


Dovendo decidere come realizzare il quadrante di un orologio meccanico, mi dicevo, era stato naturale riprodurre da vicino quello di una meridiana. Fin qui le mie credenze.
Peccato che l’altro giorno, leggendo Increasing Returns and Path Dependence in the Economy di Brian Arthur, abbia scoperto che l’autore sostiene la tesi che anche il quadrante degli orologi è il risultato di una convenzione, o meglio del prevalere di un “disegno” su tutti gli altri, intervenuto intorno al 1550. A riprova di questa tesi (altri esempi classici sono quelli della guida a destra, del “passo” dei binari ferroviari, della tastiera QWERTY…), Arthur cita l’orologio realizzato per la controfacciata del Duomo di Firenze da Paolo Uccello nel 1443:

Stupefacente vero? Fragoroso crollo della ragione?
No, perché ho fatto una scoperta ulteriore: nelle meridiane verticali il percorso dell’ombra è antiorario, come nell’orologio di Paolo Uccello.

Conclusione: Arthur ha probabilmente ragione (poteva affermarsi l’uno o l’altro tipo di quadrante), ma io non avevo torto (gli abitanti dell’emisfero settentrionale avevano un modo “naturale” o “istintivo” di tradurre il corso del tempo nel movimento delle lancette, che simulano l’ombra dello gnomone di una meridiana orizzontale).