Veronesi, Sandro (2007). Brucia Troia. Milano: Bompiani. 2007.
Cominciamo dlla fine, e poi facciamo un flashback. Brucia Troia è un romanzo brutto e inutile. Peggio, se mi avessero invitato a una lettura cieca (come quando ti fanno degustare un vino dalla bottiglia avvolta nella stagnola, e devi dirne tipo, paese d’origine e produttore), non avrei indovinato che l’aveva scritto Veronesi se non – forse – perché avrei riconosciuto Prato…
E dire che sono un estimatore di Veronesi, e che non più di 10 giorni fa ho detto (suscitando qualche scherno) che è il più grande giovane romanziere italiano (Veronesi è quasi mio coetaneo, e mi accorgo di avere ormai il patetico vezzo dei vecchi di chiamare giovani tutti quelli più giovani di me).
Il primo libro di Veronesi che ho letto è stato Gli sfiorati (1990), che mi è piaciuto moltissimo fin dalle prime pagine. Anzitutto per la descrizione della generazione che dà il titolo al romanzo, quella che ha avuto tutto senza dover chiedere niente (decisamente una generazione successiva alla mia, con cui ho evidentemente identificato l’autore: per questo, più seriamente di quello che ho detto prima, da me percepito come giovane). Per l’ironia. Per alcune scene memorabili (la prima descrizione narrativa della realtà della comunità filippina; il paradosso della Feltrinelli di via del Babuino, più vicina a piazza del Popolo se vieni da piazza di Spagna, e viceversa; le visite all’amico morto al cimitero di Prima Porta, in realtà motivate da una coltivazione di cannabis sulla tomba; le interferenze della Radio Vaticana). Per la scrittura a tratti sperimentale. E anche per la foto della quarta di copertina, l’autore seduto sulla tomba di Belinda Lee al cimitero acattolico di porta San Paolo (si chiama Belinda anche la protagonista del romanzo).

Il secondo è stato Venite, venite B-52 (1997). I B-52 erano le fortezze volanti della guerra del Vietnam, andate in pensione dopo la guerra del Golfo nel 1991; adesso ci bombarda B-16, il pastore tedesco. Ennio Miraglia, il protagonista, è ispirato a un imbonitore televisivo (che seguivo con delizia sulle private, e di cui non ricordo più il nome); Viola è la figlia della singolare preghiera. Ancora più sperimentale, ambientato tra Versilia e Alpi Apuane.

Nel 2000 esce La forza del passato. Veronesi è diventato grande, e comincia a fare i conti con se stesso. Lo sperimentalismo è passato, ma la capacità di inventare, narrare e osservare resta. Restano anche l’ironia e la capacità di schizzare ritrattini memorabili. Mi è forse piaciuto un po’ meno degli altri: quando passo sull’Ostiense ci penso spesso, il protagonista abitava lì, ma il ricordo è sfocato.
Di Caos calmo (2005) è stato detto e scritto moltissimo. C’è continuità d’introspezione autobiografica (sì, lo so, se fossi l’autore m’incazzerei!) con La forza del passato, ma anche una maggiore complessità di registri. Il gioco del “purtroppo” con il navigatore è diventato per me una grande distrazione nei viaggi. Poi, c’è la presenza di Roccamare, ormai un luogo letterario della narrativa italiana (Palomar di Italo Calvino, che c’è morto; Enigma in luogo di mare di Fruttero e Lucentini; e ora Caos calmo) e che per me è il luogo di alcuni dei ricordi più belli (le passeggiate nella pineta a studiare le piante e le impronte, il moletto Anacleto, l’arcobalegno, Celso e le corse all’ospedale di Grosseto hanno scandito il crescere dei miei figli…). La vita corre insieme a te, poi tu ti fermi e il resto continua, e quando riesci a muoverti di nuovo tutto è cambiato (sogno spesso di non riuscire più a camminare, e che ogni passo mi costa uno sforza enorme e vano…).
OK, penso di aver dato un’idea del mio amore per Veronesi e dei motivi per raccomandare i suoi romanzi. Brucia Troia (il titolo è quello di una canzone di Vinicio Capossela) non ha nulla di tutto questo: nessuna ironia, nessuna osservazione personale, nessun coinvolgimento emotivo (mi sembra). Irriconoscibile. Era stato iniziato nel 1987 ed è stato ripreso e completato vent’anni dopo. Forse il cigno Veronesi era ancora un brutto anatroccolo, e la cosa è d’interesse per chi ci vorrà fare una tesi di laurea. Perché pubblicarlo ora? Non riesco a capirlo, se non sospettando una pressione dell’editore per sfruttare il successo di Caos calmo (“prossimamente un film interpretato da Nanni Moretti”…), ma è un’ipotesi che non fa onore a Veronesi. D’accordo, il 1970 (oltre che della stramaledettissima partita Italia-Germania 4-3, di cui sinceramente ne abbiamo pieni i mediatici coglioni) è l’anno di transizione dalla provincia sonnacchiosa alla modernità (o alla post-modernità) della Prato d’oggi, e forse dell’Italia intera, ma il romanzo non riesce a convincerci della sua rilevanza. E penso che il peggio che si possa dire di un romanzo sia: “e allora?”
Veronesi: amici come prima, spero. Ma dacci un romanzo vero. Possiamo aspettare anche 4-5 anni: l’abbiamo già fatto.