Indirizzo terapeutico secondo cui le varie patologie sono curabili somministrando ai malati, in dosi minime, quegli stessi farmaci che, se somministrati a individui sani, provocherebbero in essi sintomi analoghi a quelli da curare (De Mauro online).
In realtà, non finisce qui: secondo i sostenitori dell’omeopatia, “la sostanza, detta anche principio omeopatico, una volta individuata, viene somministrata al malato in una quantità fortemente diluita, definita dagli omeopati potenza. L’opinione degli omeopati è che diluizioni maggiori della stessa sostanza non provochino una riduzione dell’effetto farmacologico bensì un suo potenziamento” (Wikipedia).
La scienza e la medicina ufficiale non hanno più nessun dubbio. Uno studio di Lancet (agosto 2005) mostra che gli effetti terapeutici non sono statisticamente distinguibili dall’effetto placebo. La fisica, inoltre, dimostra che per diluizioni superiori al numero di Avogadro non rimane neppure una molecola del principio attivo.
Secondo l’Istat, nel 2005 il 7,0% degli italiani aveva fatto uso di rimedi omeopatici nei 3 anni precedenti l’intervista (nel 1999 erano l’8,2%, ma nel 1991 il 2,5%). Sorprendentemente (almeno per me) la propensione a ricorrere all’omeopatia aumenta al crescere del titolo di studio e ed è relativamente più elevata tra dirigenti, imprenditori e liberi professionisti. Nel 71,3% dei casi, chi è ricorso all’omeopatia è soddisfatto dei risultati: per l’effetto placebo, verosimilmente, ma anche perché in tre casi su quattro si usano insieme anche i farmaci tradizionali (qui l’Istat è troppo timido per i miei gusti: dovrebbe chiamarli “farmaci di efficacia clinicamente testata” e chiamare gli altri “rimedi”). Una buona notizia è che il 10% delle persone che sono ricorse all’omeopatia nei 3 anni precedenti l’intervista ha però smesso negli ultimi 13 mesi. Ma il gioiello è questo (cito alla lettera dalla Statistica in breve dell’Istat):
Sono soprattutto le persone in buona salute ad usare in modo esclusivo o prevalente i prodotti omeopatici o fitoterapici, mentre la quota di quanti dichiarano di essersi affidati prevalentemente a trattamenti medici di tipo tradizionale è più alta tra le persone che dichiarano un cattivo stato di salute o che risultano affetti da una o più patologie croniche.
Non potrei essere più d’accordo. Se stai bene, prendi pure i rimedi omeopatici, che sono acqua purissima: eviterai qualsiasi effetto collaterale! Se stai male, curati seriamente, con un farmaco clinicamente testato.
Non ho tanta voglia di essere serio, oggi, ma ci sarebbero tante cose su cui riflettere: ad esempio, come si dovrebbe comportare il servizio sanitario di fronte a metodi di provata inefficacia? E più in generale, le autorità pubbliche? Avrebbero il dovere di fare attività di “alfabetizzazione” in materia scientifica e sanitaria? È giusto che l’Istat – un soggetto pubblico, per di più inquadrato nel settore della ricerca – non prenda nessuna posizione? Qualcuno ricorda il dibattito sulla “libertà di cura” sollevato una decina d’anni fa dal caso Di Bella? E si ricorda anche che finì in una bolla di sapone per la comprovata inutilità del metodo? Quante persone sono morte per aver “scelto” quel rimedio miracolistico invece della chemioterapia?
Intanto, tornando all’omeopatia, guardiamo insieme questo documentario della BBC, che il suo dovere di servizio pubblico lo fa:
Qui invece vediamo James Randi (un prestigiatore scettico che si è votato al disvelamento del paranormale e dell’antiscientifico, giungendo a offrire 1.000.000 di dollari a chi riuscisse a provare l’efficacia dell’omeopatia in condizioni verificabili scientificamente) in una godibilissima conferenza a Princeton.