Mio fratello è figlio unico, 2007, di Daniele Luchetti, con Elio Germano e Riccardo Scamarcio.
Tratto dal romanzo di Antonio Pennacchi Il fasciocomunista (Milano: Mondadori. 2003).
Ecco, come spesso accade, il problema è tutto qui. Forse non avrei nemmeno guardato il film (mi insospettivano la presenza di Scamarcio, il favore con cui ne parlavano un po’ tutti e il riferimento a una canzone di Rino Gaetano, recentemente santificato, ma che non ho mai sopportato) se non avessi scoperto che era tratto dal romanzo di Pennacchi. Romanzo che avevo letto a suo tempo e mi era piaciuto.
Solita delusione da film trasposto da un romanzo? Direi di no. Il problema è che del romanzo – di cui non ricordo i dettagli, ma un’impressione generale – mi era piaciuto il tono epico ma anche autoironico. È essenziale, nel romanzo, che il protagonista parli in prima persona. Ed è essenziale il punto di vista (vediamo sempre il 1968 dalle grandi città e dal punto di vista della sinistra, per il semplice fatto che il 1968 è stato fatto nelle grandi città e dalla sinistra – qui invece ci viene narrato il punto di vista di un fascistello di Latina). In sostanza, il romanzo è un romanzo di formazione, anche se sui generis.
La famiglia Benassi (o Pennacchi) ovviamente nel romanzo c’è, ma c’è in quanto portatrice di un’etica pre-moderna (“Hai fatto metà del tuo dovere” è il leitmotiv della madre). Ed è in questo contrasto, o questo contrappunto, tra epica, etica e ironia che sta il pregio del romanzo.
Il film è un’altra cosa. È la solita commediucola agrodolce, sentimentale e familista a sfondo sociale. L’ennesimo replay de La meglio gioventù (stessi sceneggiatori). L’ennesima vetrina dei nuovi attori e dei “nuovi” registi del cinema italiano, sempre bravini, pulitini e politically correct. Mi è piaciuto meno che poco.
Una delle (poche) belle sorprese del film la canzone di Nada, Amore disperato, che accompagna i titoli di coda: