Taricone (togliendosi una scarpa): “Chista è ppuzza, signò'”
Taricone (togliendosi una scarpa): “Chista è ppuzza, signò'”
Elche (in castigliano) o Elx (in catalano) è una città di oltre 200.000 abitanti, non lontana da Valencia. Oggi assurge alle cronache perché la nazionale italiana ci gioca un’amichevole con la Spagna.
Ma è anche la città in cui fu trovata, nel 1897, la Dama di Elche. È un simulacro della dea, adorata dagli abitanti del luogo (iberici o cartaginesi) tra il V e il III secolo avanti Cristo. E gli abitanti l’adorano tuttora: nella basilica di santa Maria, il 14 e 15 agosto, si celebra una Fiesta con la sacra rappresentazione detta Misteri de Elx (su un testo in lingua catalana del XIII secolo, con alcuni segmenti in latino), eseguita da soli uomini e bambini del coro di voci bianche.
Ai tempi della peseta, compariva su una banconota.
Molti anni fa, festeggiai un solstizio d’estate con una “piccola festa pagana”: questo post è dedicato a chi c’era.
Oppure: L’eleganza del riccio, riparliamone.
Possibile che questo romanzo sia piaciuto a tutti, senza riserve? Possibile che in rete si fatichi a trovare una recensione negativa?
Eppure, il romanzo ha molti difetti ed è un’operazione astuta.
Cominciamo dall’autrice. Tutt’altro che una debuttante, tanto per cominciare. Il suo primo romanzo è del 2000. L’autrice era poco più che trentenne, e pubblica da Gallimard! Vince il premio Bacchus per la letteratura gastronomica. Ex normalista, e professoressa di filosofia, non rinuncia a infarcire il libro di dotte citazioni, da Marx buttato lì in prima pagina, a Occam (per studiare il quale è sprecato buttare i soldi dei contribuenti), e così via. E se i filosofi non bastano, abbiamo i letterati (Racine e, naturalmente, Tolstoy), i musicisti (Mahler), i pittori (Hopper e le nature morte di Claesz).
Assumere il ritratto di un condominio come protagonista di un romanzo è tutt’altro che originale: basta pensare a La vita, istruzioni per l’uso (La vie mode d’emploi – 1978) di Georges Perec. La portinaia Renée rovescia uno stereotipo (quello della portinaia parigina – la Madame Pipelet dei Misteri di Parigi – di cui pipelette è diventato un sinonimo). Paloma ne è lo specchio e l’alter ego, e non gode di vita propria: quando Renée è viva, Paloma è destinata a morire, e quando Renée muore Paloma ricomincia a vivere. Colombe, la sorella di Paloma, è un altro riflesso capovolto… In questo gioco di specchi, tutti alla fine parlano con la voce dell’autrice, con le sue nozioni, con la sua cultura…
In questo senso, penso, siamo di fronte a un esercizio di stile, come ha detto qualcuno. E anche a un racconto filosofico. In un romanzo riuscito, in un romanzo vero, i personaggi assumono vita propria, si muovono e parlano mossi da una loro necessità interiore. In un racconto filosofico sono mossi, piuttosto, dalle necessità di un’argomentazione dell’autore. Non per questo un libro è brutto. Semplicemente, è un’altra cosa.
Ma di un racconto filosofico è lecito discutere l’ideologia. E qual è l’ideologia de L’eleganza del riccio? Un’ipotesi è che Muriel Barbery ce lo riveli fin dal Preambolo:
«Dovrebbe leggere L’ideologia tedesca» gli dico a quel cretino in montgomery verde bottiglia.
Per capire Marx, e per capire perché ha torto, bisogna leggere L’ideologia tedesca. È lo zoccolo antropologico sul quale si erigeranno tutte le esortazioni per un mondo migliore e sul quale è imperniata una certezza capitale: gli uomini, che si dannano dietro ai desideri, dovrebbero attenersi invece ai propri bisogni. In un mondo in cui la hybris del desiderio verrà imbavagliata potrà nascere un’organizzazione sociale nuova, purificata dalle lotte, dalle oppressioni e dalle gerarchie deleterie.
“Chi semina desiderio raccoglie oppressione” sono sul punto di mormorare […]