Hitler

Genna, Giuseppe (2008). Hitler. Milano: Mondadori. 2008.

Un libro che ha suscitato molte polemiche e molto interesse.

A me non è piaciuto per niente (forse state sospettando che sia di cattivo umore, in questo periodo? no, non è questo il problema). Cercherò di spiegare il perché.

Primo. Lo stile di Genna è intollerabile, almeno per me. Retorico in senso deteriore, borioso, enfatico. Martellante come uno spot pubblicitario. Alcune parole sono ripetute fino alla noia (“esorbitare” in tutte le sue coniugazioni, ad esempio). Sempre alla ricerca dell’effetto roboante. Basterebbe a chiudere il libro, se non fosse che mi sono assunto un impegno con i miei 25 lettori.

Secondo. Non è facile capire dove Genna vuole andare a parare. È un romanzo il suo? Forse un romanzo storico? Non direi, perché non mi sembra che ci siano personaggi o vicende di fantasia, al di là della periodica comparsa del lupo Fafnir. In questo, l’operazione di Genna (che pure parte dalla stessa miniera di documentazioni storiche) è molto diversa da quella di Littell.
Genna inanella una serie di aneddoti biografici più o meno noti della vita di Hitler, e oscilla tra il dargli una dimensione mitica (l’avatar del male) e una dimensione nichilistica (l’avatar del nulla, la non-persona per eccellenza). Ma di conseguenza non ci fa capire proprio niente di Hitler e del nazismo: perché questa nullità ha preso il potere? chi erano i suoi seguaci? chi lo ha aiutato a fare della Germania una potenza militare?

Genna è un autore “di sinistra”, ma il suo libro è pericolosissimamente di destra estrema, revisionista e negazionista senza saperlo. Perché se Hitler è un’incarnazione del male o del nulla cosmico, allora del nazismo e della Shoah non è responsabile né lui né i suoi seguaci. Non ho dubbi: scelgo Littell.

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Sex, Science and Profits

Kealey, Terence (2008). Sex, Science and Profits. London: Heinemann. 2008.

Un ennesimo libro comprato d’istinto. Un errore che faccio spesso. D’altra parte, sulla 4° di copertina il libro era raccomandato da persone competenti (sì, sono un ingenuo) e la casa editrice è seria.

E invece il libro è quasi paradigmatico per una serie di elementi negativi.

Per prima cosa, il testo non è curato per niente. E dire che Kealey ringrazia il suo editor! A parte un sacco di errori di stampa e di refusi, ci sono sviste proprio ridicole, come Petrarca (Petrarch) che diventa Plutarco (Plutarch).

Già questo basterebbe. Ma quel che è più grave, è che Kealey è pretenzioso e scorretto. Ha una tesi rispettabile da sostenere: che i finanziamenti alla ricerca di parte pubblica “spiazzano” quelli che i privati farebbero autonomamente. Tesi non originalissima e di chiaro stampo liberistico. Ma comunque rispettabile, se argomentata correttamente. E Kealey non è corretto.

Intanto è pretenzioso: pretende di dare un’ampia prospettiva storica, addirittura paleontologica. Ma il modo in cui sostiene la sua tesi è aneddotico, e di conseguenza agevolmente distorto. Kealey sceglie di raccontare soltanto i fatti storici (e a volte i “fattoidi” o le interpretazioni o le ipotesi storiografiche) che sostengono la sua tesi, e di trascurare tutti gli altri. A costo di forzare le interpretazioni storiche più accreditate: ad esempio, che Roma non ha prodotto alcuna innovazione tecnologica… quando ancora viaggiamo sulle strade romane, applichiamo tecniche edilizie romane eccetera. Questa forzatura percorre tutta la ricostruzione storica di Kealey, almeno per le epoche e gli “aneddoti” che sono stato in grado di controllare. E innerva anche l’argomentazione finale, riferita all’attualità: anche qui la scelta è quella di raccontare episodi, piuttosto che ricorrere all’ampia e robusta informazione statistica disponibile. Documentazione, paradossalmente, che avrebbe aiutato a sostenere le sue tesi, anche se probabilmente con un margine di dubbio che Kealey non tollera, nella sua polemica con Paul Romer e Paul David.