Epoché

La sospensione del giudizio o epoché (traslitterazione del greco antico “ἐποχή” ossia “sospensione”) è l’astensione da un determinato giudizio o valutazione, qualora non risultino disponibili sufficienti elementi per formulare il giudizio stesso.

Si tratta di un processo cognitivo, nonché uno stato della mente, particolarmente implicato nella formazione di giudizi etici e morali. La nozione opposta a questa è quella di pregiudizio, cioè un giudizio formulato in assenza di ragioni oggettive al quale tuttavia viene accordata la piena convinzione di validità. Laddove il pregiudizio conduce a trarre conclusioni o a formulare giudizi in assenza di un numero sufficiente di informazioni, la sospensione del giudizio impone di astenersi da simili atti fino al raggiungimento della necessaria quantità di informazione.

La sospensione del giudizio è un principio metodologico basilare. Il metodo scientifico incoraggia la sospensione del giudizio in merito alle ipotesi (e anche il moderno processo).

Nei contesti sociopolitici, l’epoché è una pietra miliare dello sviluppo civile delle società, basata sulla convinzione che nessun punto di vista può essere elevato a universale senza consenso. Rimedio al fanatismo, permette di risolvere, e più spesso di evitare, i conflitti dovuti a incomprensione reciproca.

In filosofia, la sospensione del giudizio è associata allo scetticismo e al positivismo.

La “sospensione del giudizio” è stata teorizzata in modo sistematico ed esauriente per la prima volta nell’antica Grecia, in particolar modo da due grandi correnti di pensiero: l'”accademia media” platonica (attiva dal III al I secolo BCE) e i filosofi neo-pirroniani (o “veri scettici”) (attivi fra il I e II secolo BCE). La “sospensione del giudizio” consiste nel sospendere il proprio assenso non ai fenomeni (di per sé innegabili), ma al fatto che ai fenomeni, o a delle formulazioni di pensiero (come, a esempio, la cosmologia stoica) corrisponda la realtà. Bisogna essere consapevoli che della realtà non possiamo che avere un giudizio soggettivo. Per questo bisogna sospendere il giudizio, il che successivamente porta casualmente (in quanto i rapporti di causa-effetto sono criticati dagli scettici) all’imperturbabilità o ataraxia nell’ambito delle opinioni, e del moderato patire o metriopatheia di fronte alle necessità ineluttabili dell’esistenza umana.

Per spiegare il rapporto casuale tra epochè e ataraxia Sesto Empirico ricorre alla metafora del pittore Apelle (Lineamenti pirroniani I, 19-35):

Dicono infatti che egli, avendo dipinto un cavallo e desiderando raffigurare nel quadro la schiuma della bocca del cavallo, ebbe così poco successo, che rinunciò e gettò contro l’immagine la spugna in cui detergeva i colori del pennello: e dicono anche che questa, una volta venuta a contatto con il cavallo, produsse una rappresentazione della schiuma. Anche gli scettici, dunque, speravano di impadronirsi dell’imperturbabilità dirimendo l’anomalia degli eventi sia fenomenici sia mentali, ma, non essendo in grado di riuscirci, sospesero il giudizio; e a questa loro sospensione seguì casualmente l’imperturbabilità, come ombra a corpo.

Cartesio ha fatto dell’epoché il fondamento della sua epistemologia. Nel procedimento da lui denominato “dubbio metodico”, ha affermato che, in ordine alla costituzione di una conoscenza certa e salda, è necessario dubitare di qualunque cosa (ovvero, non bisogna dare niente per scontato). Solo eliminando i preconcetti e i pregiudizi è possibile conoscere la verità. L’uomo deve sospendere il giudizio dubitando di tutto, iniziando con il dubitare delle cose più semplici (dubbio metodico) per poi procedere a quelle più complesse (dubbio iperbolico). Secondo Cartesio si può dubitare di tutto, tranne che dell’atto stesso del dubitare (cogito ergo sum). [adattato da Wikipedia]

Epoché, composto delle parole greche epi- (“su”) e échein (“tenere”); ovvero “tenere sopra”, “trattenere”. L’epoché è il termine greco che designa l’astensione del giudizio sulle cose e sui fatti del mondo. Mentre l’epoché scettica dell’antichità era un concetto distruttivo, in quanto negava o costringeva a negare qualsiasi certezza, l’epoché di Husserl, nell’ambito della fenomenologia, mira a sospendere il giudizio sulle cose, in modo da permettere ai fenomeni che giungono alla coscienza di essere considerati senza alcuna visione preconcetta (come se li si considerasse per la prima volta). [tratto da riflessioni.it]

Se i fenomeni, secondo la fenomenologia, devono giungere alla coscienza solo ed esclusivamente nei limiti e nei modi in cui si danno, allora è necessario non considerare di ogni fenomeno un’infinità di “pre-concetti” che si sono formati nel tempo attorno alle definizioni del senso delle cose. Questo insieme di “pre-concetti” che vengono a sovrapporsi all’immediatezza originaria del fenomeno così come si manifesta nella coscienza sono, in ultima analisi, l’insieme delle teorie metafisiche e razionaliste che vanno ad aggiungere un senso in eccesso a quello che si viene a formare se si considera il fenomeno nella sua semplice immediatezza.

Se di un albero consideriamo il fenomeno puro, noi considereremo solamente le impressioni immediate che l’albero produce nella nostra coscienza, cosicché, secondo il metodo fenomenologico, l’esistenza di un processo di sintesi clorofilliana e la struttura linfatica della pianta sarebbero un senso eccedente le intenzioni della fenomenologia.

Se si vuole davvero proporre una scienza rigorosa dei fenomeni occorre sospendere il giudizio attorno a quei fatti che eccedono l’immediatezza del fenomeno, ovvero sospendere l’assenso attorno a ogni teoria che eccede le impressioni immediate. Questa sospensione del giudizio teorico sulle cose è chiamato da Husserl epoché, rispolverando un’antica parola utilizzata già dal pensiero scettico. È chiaro infatti che se la fenomenologia vuole fondare la sua rigorosità sul dato del fenomeno “nei modi e nei limiti in cui si dà” all’intuizione, la stessa intuizione immediata dell’albero non può dirci nulla attorno ai suoi processi organici interni, i quali sono il prodotto di un paradigma scientifico.

Tale “epurazione” concettuale serve alla fenomenologia per mondare i fenomeni dalle nozioni acquisite per via teorica e che non vanno a formare l’originarietà dell’oggetto percepito. Questo processo di ritorno alla visione autentica e originaria delle cose è l’essenza stessa della fenomenologia: la scienza più rispettosa dell’autentico significato della realtà è quella che permette alle cose di giungere alla coscienza nel modo più autentico e originario possibile, escludendo quindi tutti i dati attorno alle cose che sono stati acquisiti per via teoretica e scientifica.

Per fare un altro esempio, anche la spiegazione atomista della realtà materiale è per la fenomenologia un giudizio sulla realtà che occorre sospendere per mantenersi nella regione più sicura dei dati certi. La realtà che si da a noi, il “fenomeno realtà” che giunge alla nostra coscienza, non ci dice nulla attorno all’esistenza degli atomi. Occorre quindi sospendere il giudizio scientifico sulla realtà materiale e avvicinarsi al mondo con gli occhi di un bambino che lo guarda come se fosse per la prima volta. Solo in questo modo si giunge a “mondare” la coscienza da tutti quei sensi eccedenti il dato immediato che non possono dare la certezza di una realtà davvero autentica. [tratto da forma-mentis.net]

Pubblicato su Parole. 2 Comments »

2 Risposte to “Epoché”

  1. Perché non mi fido dei preti « Sbagliando s’impera Says:

    […] autenticamente laica (e atea, ma questa etica è adatta anche a chi non ha certezza e sospende il giudizio), è che i mezzi devono essere giustificabili in sé. Non facile, certo, ma almeno non […]

  2. Epocale « Sbagliando s'impera Says:

    […] il significato di questi due termini, epoca ed era. Època sostantivo femminile [dal greco ἐποχή, propriamente «sospensione, fermata», derivato di ἐπέχω «trattenere»]. […]


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