Nelle mani giuste

De Cataldo, Giancarlo (2007). Nelle mani giuste. Torino: Einaudi. 2007.

 

Nelle mani giuste

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De Cataldo è uno scrittore vero, giustamente ambizioso.

Romanzo criminale era molto di più che la rivisitazione romanzata e in giallo di un pezzo particolarmente oscuro della nostra storia recente (ho il vezzo, come tutti i vecchiacci, di chiamare “recente” la storia che ho vissuto e mi ricordo). Era un romanzo vero, un romanzo storico come lo sono i Promessi sposi. Mi spiego facendo riferimento a tre componenti che mi sembrano essenziali:

  1. dentro il contesto di un periodo storico ricostruito fedelmente e con intelligenza (cioè, proponendo implicitamente ed esplicitamente un modello interpretativo)
  2. si muovono personaggi reali e inventati, ma rispetto ai quali il romanzo ci offre la possibilità di un punto di vista privilegiato (cioè di vederli da dentro, nelle loro motivazioni, nei loro sentimenti, nel loro monologo interiore…)
  3. e si intrecciano vicende – ancora una volta reali e di fantasia – che vanno a comporre la trama della narrazione.

Nelle mani giuste è costruito allo stesso modo e ne è (in gran parte e in buona sostanza) la continuazione. Non soltanto perché alcuni personaggi ricorrono (Nicola Scialoja, Cinzia Vallesi-Patrizia…), ma anche perché il vero protagonista in entrambi i romanzi è la sciagurata storia occulta di questo Paese, le trame segrete, le barbe finte, il micidiale miscuglio di servizi segreti politica affari criminalità più o meno organizzata (ma esiste la criminalità disorganizzata, fuori che ne I soliti ignoti e nella saga del poliziotto Tomas Milian?).

Appartengo a una generazione che, dalla strage di piazza Fontana in avanti… Una digressione personale: per me, piazza Fontana è una fredda sera d’inverno, mio padre che rientra dall’ufficio in anticipo rispetto ai suoi orari abituali e mi chiede di accompagnarlo a fare un lavoro in cantina, e una volta là sotto mi racconta della bomba e dei morti, e poi mi racconta dell’attentato al cinema Diana nel 1921 (23 marzo: 21 morti e 80 feriti), attribuito agli anarchici ma comunque utilizzato dai fascisti. Imparo che le cose possono essere diverse da quello che sembrano e che ci raccontano la televisione e il Corriere della sera. A scuola si discute del suicidio di Pinelli, della colpevolezza di Valpreda (il mostro), del tassista Rolandi… Non avevo mai pensato, prima, che le istituzioni potessero essere così impunemente e spregiudicatamente parte in causa, che potessero usare questi metodi…

Appartengo a una generazione, appunto, che si è sempre sentita dire, che si è sempre detta da sola (almeno nel mio caso) che le ipotesi di complotto erano troppo smisuratamente paranoiche per essere vere. La questura e i servizi segreti che insabbiano. Non basta: depistano, per allontanare i sospetti dai loro amichetti neofascisti. Non basta: i fascisti sono stati guidati e infiltrati proprio da loro. Ma dài! – mi dicevo tutte le volte – l’MS, i gruppetti, il Manifesto, Lotta continua, i giornalisti del BCD, Dario Fo, Feltrinelli stanno tutti esagerando, questo atteggiamento è controproducente… Lo stesso per il colpo di Stato: ma chi? Junio Valerio Borghese e i forestali? E poi: i poliziotti in borghese che sparano alla manifestazione del 12 maggio 1977? I servizi e Andreotti dietro la banda della Magliana? Mafia Vaticano e grandi banche? Un’organizzazione segreta finanziata dagli americani – anzi più di una! – per impedire che i comunisti vadano al potere, ancorché per effetto di libere elezioni?

Non ci riuscivo a credere, ma poi, una dopo l’altra, tutte queste storie si sono dimostrate vere, tutte nella sostanza e quasi tutte anche nei dettagli. La mia ingenua generazione (o forse soltanto io) credeva in un progresso più o meno lineare: la dichiarazione d’indipendenza americana, la rivoluzione francese, la monarchia costituzionale, la repubblica, l’abolizione della schiavitù, il suffragio universale, il sindacato, lo Stato sociale, la settimana di 40 ore, il diritto allo studio, l’eguaglianza delle opportunità, lo statuto dei lavoratori. Insieme e in parallelo al crescere del benessere materiale e alla diminuzione delle diseguaglianze. Certo, pensavamo che ci potessero essere delle battute d’arresto e degli arretramenti, sapevamo che c’erano forze della reazione in agguato, ma eravamo fiduciosi nella marcia del progresso e della storia (ancora nel 1994 la “gioiosa macchina da guerra” di Occhetto si chiamava “i progressisti”). Non so se altre generazioni, nella storia, hanno vissuto – nel corso della loro esistenza – un crollo così clamoroso delle loro speranze.

Fine dello sfogo e della digressione, che forse digressione non è, dato che Giancarlo De Cataldo è nato nel 1956. Torniamo al libro.

Anche Nelle mani giuste è un romanzo potente, epico. dal 1978 siamo arrivati al 1992-1993. Qui non si tratta soltanto di prendersi Roma, ma di prendersi l’Italia, in uno dei vuoti di potere più drammatici: il pentapartito e la 1ª repubblica, ma anche i capitani della finanza che prosperavano all’ombra del sistema, sono caduti sotto i colpi del pool di Milano; Falcone e Borsellino sono stati ammazzati, ma la mafia ha perso Riina; il Muro è crollato e le sinistre (storiche e “nuove”) non sanno dove andare.

Un aspetto che rende il romanzo particolarmente potente è che è ancora d’attualità. Quella crisi non si è chiusa, ne stiamo vivendo ancora i contorcimenti – lo vediamo benissimo soltanto che sappiamo metterci un po’ in prospettiva, che riusciamo un po’ a individuare i segnali dentro a tutto il rumore – e quindi, alla fine della lettura, non possiamo tirare un bel sospiro di sollievo dicendoci che l’abbiamo scampata bella, perché il fattore umano (come scrive De Cataldo nel romanzo) ci ha fatto un favore o perché (uscendo fuori dal romanzo) i tempi sono cambiati. I tempi non sono cambiati, non ancora. E la paura che, se e quando poi cambiano, sia in peggio è ben fondata.

Un altro aspetto importante del raccontare di De Cataldo è che nei suoi romanzi non c’è l’eroe positivo: i suoi personaggi sono tutti “cattivi”, ma non sono cattivi tutti d’un pezzo, sono “umani”, hanno ambizioni e frustrazioni, sono vanitosi, addirittura amano. In questo modo, il gioco tradizionale dell’identificazione del lettore viene messo in crisi. In questo senso, De Cataldo è epico anche in senso brechtiano. Un altro modello, ma questo è stato certamente già detto, è James Ellroy (con la bella differenza che Ellroy è un autore dichiaratamente di destra: ma questo aprirebbe un altro lungo discorso).

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