L’uomo a rovescio

Vargas, Fred (1999). L’uomo a rovescio (L’homme a l’envers). Torino: Einaudi. 2006.

Di solito, diffido dei casi letterari. E questo è sicuramente un caso letterario ben costruito: donna, scienzata, si firma al maschile, scrive durante le ferie, si fa revisionare dalla sorella gemella…

Di solito, non leggo romanzi gialli. La disciplina del genere tende a essere troppo forte. Il giallo deve essere una macchina narrativa a incastro, deve seguire certe regole, deve rendere al lettore la vita difficle ma non impossibile. Ovvio che poi lo stile e la vicenda ne risentano. Non ci sono capolavori lirici nella Settimana della sfinge.

Tutto ciò premesso, il libro della Vargas è affascinante. Si legge volentieri, è ben scritto, i personaggi ben stagliati. Lo sguardo della Vergas è ironico, distaccato, un po’ divertito, ma partecipe. Tradotto splendidamente da Yasmina Melaouah, che traduce anche Pennac.

Adesso leggerò gli altri.

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Gay pride

Ho due domande, che mi faccio e vi faccio, dopo la bella festa del 16 giugno.

Prima domanda. Perché gli omosessuali danno, politicamente e non solo, tanto fastidio?

In fin dei conti, quella dell’eguaglianza dei diritti non dovrebbe nemmeno essere una questione. La Dichiarazione d’indipendenza americana è del 1776 e afferma nel Preambolo: “Noi riteniamo che le seguenti verità siano di per se stesse evidenti; che tutti gli uomini sono stati creati uguali, che essi sono dotati dal loro creatore di alcuni Diritti inalienabili, che fra questi sono la Vita, la Libertà e la ricerca delle Felicità“. La Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino, del 1789: “Gli uomini nascono e rimangono liberi e uguali nei diritti” (articolo 1).

Roba troppo vecchia? Passiamo alla Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo adottata dall’assemblea generale delle Nazioni Unite il 10 dicembre 1948. Preambolo: “Considerato che il riconoscimento della dignità inerente a tutti i membri della famiglia umana e dei loro diritti, uguali ed inalienabili, costituisce il fondamento della libertà, della giustizia e della pace nel mondo“. Articolo 1: “Tutti gli esseri umani nascono liberi ed eguali in dignità e diritti“. Articolo 2: “Ad ogni individuo spettano tutti i diritti e tutte le libertà enunciati nella presente Dichiarazione, senza distinzione alcuna, per ragioni di razza, di colore, di sesso, di lingua, di religione, di opinione politica o di altro genere, di origine nazionale o sociale, di ricchezza, di nascita o di altra condizione“.

E la Costituzione italiana? Dice addirittura qualcosa di più. Articolo 3: “Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali. È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese“.

Soltanto l’estrema destra non si riconosce in questi principi, per ideologia oltre che per pratica politica. Si può forse accomunare a questa posizione la Lega, anche se ne ignoro l’ideologia al di là del folclore padano-celtico (che puzza un po’ di “sangue e suolo”). Tutti gli altri, liberali e liberisti, socialisti e riformatori, gli stessi partiti d’ispirazione cristiana [cito in proposito il Compendio della dottrina sociale della Chiesa redatto dal Pontificio consiglio della giustizia e della pace: “Nella visione del Magistero, il diritto allo sviluppo si fonda sui seguenti principi: unità d’origine e comunanza di destino della famiglia umana; eguaglianza tra ogni persona e tra ogni comunità basata sulla dignità umana; destinazione universale dei beni della terra; integralità della nozione di sviluppo; centralità della persona umana; solidarietà” (paragrafo 446; il corsivo è mio)] riconoscono il valore universale dell’eguaglianza.

Riformulo la domanda: Come si concilia questo con la discriminazione degli omosessuali? Con la mancanza di eguali diritti?

Seconda domanda. Quanti sono gli omosessuali?

Chi di voi legge abitualmente questo blog sa che una delle mie aree d’interesse è la cultura quantitativa, la battaglia per affermare il principio che si ragiona meglio e si assumono decisioni migliori se ci si documenta sulla dimensione quantitativa, se si estende alle decisioni della vita pubblica quello che facciamo abitualmente nelle nostre decisioni private: fare qualche conto! Per questo mi pongo e vi pongo questa domanda: non per schedare gli omosessuali, ma per capire insieme la dimensione del problema e, quindi, se sia ragionevole liquidarlo con un’alzata di spalle o con una battuta.

Una conferma indiretta del fatto che la questione sia “politica” scaturisce dalla considerazione che gli omofobi tendono a presentare stime molto basse (secondo loro, l’incidenza degli omosessuali sulla popolazione sarebbe dell’1%) e le associazioni militanti stime elevate (almeno il 10%). È uno dei tanti esempi in cui il dato statistico non è il punto di partenza quantitativo comune su cui si confrontano diverse strategie politiche, ma uno degli argomenti usati contro l’avversario; non il terreno di gioco, ma la mazza da baseball!

Vorrei tenermi fuori da questo e presentare qualche ordine di grandezza reperito in letteratura. Tra l’altro, la faccenda è complicata dalla differenza tra esperienze e comportamenti occasionalmente, sistematicamente ed esclusivamente omosessuali eccetera: il solito problema dei metadati.

La stima più famosa dell’incidenza degli omosessuali maschi è il 10% riportato dal Rapporto Kinsey (Sexual Behavior in the Human Male, 1948). In realtà, Kinsey gradua i comportamenti omosessuali (Kinsey era un behaviourista) su una scala crescente da 1 a 6: dal 37% dei maschi (almeno un’esperienza omosessuale condotta fino all’orgasmo), al famoso 10% (comportamenti esclusivamente o quasi esclusivamente omosessuali per almeno 3 anni nel periodo di vita tra i 16 e i 55 anni), al 4% (comportamenti esclusivamente o quasi esclusivamente omosessuali per tutta la vita). Un articolo di rassegna pubblicato da Science nel 1989, che prendeva in considerazione altre 4 rilevazioni campionarie statunitensi, produceva, con qualche cautela, una stima simile: tra il 5 e il 7% della popolazione maschile. Le stime relative all’incidenza dell’omosessualità femminile sono grosso modo la metà.

Tanto per fare un ragionamento, facciamo conto che gli omosessuali siano il 2% della popolazione adulta e supponiamo che vadano a votare per affermare i loro diritti: poiché i votanti per la Camera dei deputati alle scorse politiche sono stati poco meno di 40.000.000, stiamo parlando di 800.000 voti. Tanto per dare un’idea, l’Udeur di Mastella ha preso poco più di 500.000 voti (10 seggi), la Federazione dei verdi meno di 800.000 (15 seggi), l’Italia dei valori di Di Pietro 875.000 (16 seggi), i Comunisti italiani di Diliberto poco più (sempre 16 seggi). Nella Casa delle libertà, la Democrazia cristiana di Rotondi, che pontifica su tutti i canali nazionali, ha ottenuto 4 seggi con 285.000 voti. Sopra il 7% che rappresenta l’estremo superiore della forchetta di Science ci sono soltanto L’Ulivo, Forza Italia e Alleanza nazionale.

Forse non ci sono le condizioni politiche per un partito, ma i numeri per una grande battaglia civile sì.