Bip & Go colpisce ancora

Riassunto delle puntate precedenti: Metroroma sta installando dei nuovi tornelli (dal costo di oltre 73.000 euro l’uno) in alcune stazioni della Linea B e abolendo il varco abbonati (in tutte le stazioni). Nel post precedente sollevavo dei dubbi sulla razionalità dell’operazione e ponevo alcune domande: nessuno mi ha risposto. In compenso, la campagna pubblicitaria si è fatta asfissiante: ai manifesti si è aggiunta RomaRadio, la radio che sei costretto ad ascoltare nelle stazioni della metro, anche se non vuoi.

Qualche risposta me la posso dare da solo: i nuovi varchi non possono essere “banalizzati”, cioè essere trasformati da entrate in uscite e viceversa secondo necessità, un po’ come accade ai caselli dell’autostrada. Quindi se, come pavento, è stato fatto un errore di progettazione, ce lo terremo, fino a quando non si troveranno i soldi (nostri, non dimentichiamocelo) e la faccia tosta per rimediare.

Altra domanda: le code? Non ancora. ma certamente sono aumentati i disagi, soprattutto per gli abbonati, cioè i viaggiatori abituali, i clienti fedeli, quelli che il trasporto pubblico (se agisse in modo “imprenditoriale” e non burocratico) dovrebbe cercare di tenersi ben stretti, trattandoli meglio.

C’è un fattore che avevo sottovalutato. L’abbonato (che ipotizziamo in regola con l’abbonamento) non deve “obliterare” un biglietto (3 secondi), ma avvicinare il chip della sua tessera a un sensore. Se funziona, nessun problema: il tornello scatta, l’abbonato passa. Ma se non funziona, s’accende una luce rossa, risuona un fastidioso beep e il tornello resta chiuso. A questo punto l’abbonato si volta, chiede scusa alle persone dietro di lui, si sposta a un altro tornello, fa la sua fila se deve, e riprova. Di nuovo due possibilità: o funziona, o no. Altro giro, altra penitenza.

Così all’infinito? Magari. I tornelli sono tutt’altro che infiniti: sono 3, 4, forse 7 nelle stazioni più grandi. Qualcuno è sempre “fuori servizio”. Riprendiamo l’esempio di Eur Fermi: 3 varchi, quello centrale guasto da almeno 15 giorni. Esauriti senza successo i 2 tentativi possibili, l’abbonato che fa? Si rivolge al personale di stazione, se c’è: ma allora abbiamo speso 73.000 euro a varco senza nessun risparmio per Metroroma e con un danno non nullo (anche se difficile da quantificare) per gli utenti. Se non rischiasse di suonare volgare direi: “Complimenti! Bel c… di capolavoro!”. E se il personale di stazione non c’è: allora l’abbonato (in piena regola, ricordiamocelo) ritenta. Per ipotesi, è il suo tempo a essere infinito. Me lo immagino già, a metà mattina, nella stazione torrida e vuota (tutti quelli che dovevano andare al lavoro sono ormai partiti), che ogni tanto riprova. Fischietta, fa finta di niente, si volta di scatto, avvicina la tessera. Niente: beep! O forse si troveranno in più d’uno. Si scambieranno consigli. Qualcuno porterà uno sgabello. Dopo un po’, si diffonderà la voce e arriveranno gli ambulanti: panini, caffè, acqua minerale, coca!

Marcovaldo.

OK, direte voi, ma quanto è probabile che succeda? Non lo so, ma la domanda non la dovete fare a me. Quello che posso dirvi io è che succede, mi è successo. sono uno di quei fanatici che quando fu introdottio il chip elettronico lo passava alla macchinetta, perché immaginava il grande computer del trasporto pubblico che raccoglieva tutte quelle informazioni sugli spostamenti e ottimizzava il servizio. Ma gli errori erano frequenti, abbastanza per farmi abbandonare il gioco. La domanda, invece, la facciamo insieme a Metroroma, perché delle due l’una: o l’hanno rilevato, e allora ce lo devono dire; o non l’hanno fatto, e allora sono degli incompetenti.

Travaglio, lavoro, opera

Mi fa notare un’amica (incinta) che “travaglio” in inglese si dice “labour”, in francese “travail” e in spagnolo “trabajo”.

Lavoro è una parola con una storia lunga: viene dall’indo-europeo originario. In sanscrito la radice rabh- significa afferrare, da cui lo slavo rabu (servo, colui che lavora) e il boemo robiti (lavorare; ma anche robota, lavoro servile, da cui il robot).

Il termine robot deriva dal termine ceco robota, che significa “lavoro pesante” o “lavoro forzato”. L’introduzione di questo termine si deve allo scrittore ceco Karel Čapek, il quale usò per la prima volta il termine nel 1920 nel suo dramma teatrale I robot universali di Rossum. In realtà non fu il vero inventore della parola, la quale infatti gli venne suggerita dal fratello Josef, scrittore e pittore cubista (ricordatevi che “cubista” in ceco è tutt’altro movimento artistico – nota mia), il quale aveva già affrontato il tema in un suo racconto del 1917, Opilec (“L’ubriacone”), nel quale però aveva usato il termine automat, “automa”. La diffusione del romanzo di Karel, molto popolare sin dalla sua uscita, servì a dare fama al termine robot (Wikipedia).

Torniamo al lavoro! In latino la r diventa l e quindi abbiamo labor e laborare.

Nelle lingue germaniche rabh. diventa arbh-, da cui il tedesco Arbeit, che ci ricorda il sinistro motto di Auschwitz, Arbeit macht frei (a proposito, oggi è il 67° anniversario dell’arrivo del primo treno di prigionieri – politici polacchi – ad Auschwitz).

Continuiamo a farci del male. Travaglio. Viene dal latino trabaculum (tres, “tre”, + pàlus, “palo”), uno strumento di contenimento e tortura per animali riottosi. Inutile dire che tra questi sono comnpresi gli esseri umani.

Opera invece (anch’esso da radice indo-europea passata al latino) ha il significato di “toccare” ed è collegato a una bella famiglia di parole, da appoggio ad adattare, apice, alto, opìmo, opinare, opulento, ottimo. Persino all’uopo. Già meglio.

Resta da capire il nesso tra il lavoro (di uomini e donne) e il travaglio (delle donne), dato che i due termini appaiono quasi intercambiabili. Che c’entri la Bibbia? Che la maledizione di Adamo ed Eva preveda la stessa pena (lavoro/travaglio) per entrambi, ma declinato per genere (la “fatica” per l’uomo, il parto per la donna)? Che il vero lavoro della donna sia fare figli?

Per vis polemica ci sarebbe piaciuto, ma non è così, almeno nella versione latina del Vaticano:

Mulieri dixit:
“Multiplicabo aerumnas tuas
et conceptus tuos:
in dolore paries filios,
et ad virum tuum erit appetitus tuus,
ipse autem dominabitur tui”.
Adae vero dixit: “Quia audisti vocem uxoris tuae et comedisti de ligno, ex quo praeceperam tibi, ne comederes,
maledicta humus propter te!
In laboribus comedes ex ea
cunctis diebus vitae tuae.
Spinas et tribulos germinabit tibi,
et comedes herbas terrae;
in sudore vultus tui vesceris pane,
donec revertaris ad humum,
de qua sumptus es,
quia pulvis es et in pulverem reverteris” (Genesi 3, 16-19; corsivi miei).

Niente da fare: dolore per la donna e lavoro per l’uomo (e i tribulos, in questo caso, sono cardi!).

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