Giusto per la decenza (faccio finta che sia una roba colta invece di una stupida fobia): io sapevo che veniva dall’arabo (al-barquq o al-berquq), ma non sapevo che a sua volta l’arabo l’avesse preso dal latino praecócum, variante di praecócem, perché maturava prima della pesca. Mah!
Comunque, oggi mangiavo un’albicocca. Ogni anno ci provo, più d’una volta. Sempre ne sono deluso: non sento quel sapore acidulo e profumato, dolce ma con una punta di bruschino, tipico delle albicocche d’antan. Niente. Le albicocche sanno di nulla, o di patata (nel senso cattivo del termine) o di acerbo. Mai dell’albicocca che ricordo, che deliziava la mia giovinezza.
Qualche traccia dell’antico gusto d’albicocca si trova ancora in qualche marmellata, non nelle caramelle (troppo dolci e artificiali), in tracce nel profumo delle fresie. E mi sono sempre domandato: ma possibile che la nostra tecnologia, che manda l’uomo sulla luna, che mette su un chip milioni di macchine logiche, che fabbrica cuori artificiali, che modifica geneticamente i pomodori affinché non ammuffiscano eccetera eccetera eccetera, possibile che la nostra tecnologia non sia in grado di ridare il loro sapore alle albicocche? Eppure con le fragole c’è (quasi) riuscita!
Oggi mi è caduto il velo dagli occhi e ho capito. Appartengo all’ultima generazione (quella dei baby boomer) che può ricordare il sapore vero delle albicocche (Alzheimer permettendo). La tecnologia costa, perché dannarsi l’anima? Stanno semplicemente aspettando che moriamo tutti. Poi, del sapore delle albicocche si sarà persa la memoria. La tecnologia è paziente.