28 giugno

Quante cose sono successe il 28 giugno!

Nel 1577 è nato Peter Paul Rubens. Il mio leggendario quantomenesbàttometro sarebbe fisso sullo zero, se non fosse che via Rubens era vicino a casa mia e che quindi, da bambino, conoscevo la strada prima del pittore (che non mi piace). Ho però avuto un puzzle con una sua opera, piena di donnone rosee e cicciotte.

Nel 1712 è nato Jean-Jacques Rousseau. Ho letto Il contratto sociale, molti anni fa, ricevendone una forte impressione. Ne ho un ricordo molto vago, ma vivo nella convinzione (o nell’illusione) che quella lettura abbia mantenuto un’importanza fondamentale, ancorché sotterranea, nella mia formazione democratica.

Nel 1902 è nato John Dillinger, il bandito. Non so nulla di lui, ma ho sempre amato tantissimo il film di Ferreri, Dillinger è morto.

Il 28 giugno 1914, Gavrilo Princip ha ucciso a Sarajevo l’arciduca Francesco Ferdinando e la moglie Sofia, dando l’avvio alla catena di avvenimenti che – oltre a decretare la finis Austriae cara a Cacciari – sfociò nella prima guerra mondiale. Nel 1919, esattamente 5 anni dopo, il 28 giugno fu firmato il Trattato di Versailles, dando l’avvio alla catena di avvenimenti che sfociò nella seconda guerra mondiale. Caro vecchio secolo breve! Il secolo lungo è appena iniziato e ne abbiamo già le tasche piene.

John Zorn: Complete Masada (3)

Un concerto memorabile. Tre modi diversi di intendere la musica in generale, e la musica di John Zorn in particolare. Alla fine, ben oltre la mezzanotte, eravamo tutti felici e convinti di aver partecipato (partecipato, non assistito) a qualcosa di speciale.

Uri Caine, pianoforte. Nonostante l’indubbia bravura di Uri Caine – o forse soprattutto perché, conoscendo altre operazioni talora discutibili, ma sempre di altissimo livello, le mie aspettative erano molto elevate – è stata la sezione più deludente del concerto di stasera (ma non certamente dell’insieme delle tre serate). A differenza di quanto accade per le Variazioni Goldberg, o per Mahler, o per Wagner, non mi è sembrato che Uri Caine sia entrato in sintonia con la musica di John Zorn. Forse sono troppo vicini culturalmente, forse a Caine serve un po’ più di distacco, di lontananza, di libertà, per misurarsi con un compositore. Non è la stessa cosa (qui su piano elettrico) ma comunque potete farvi un’idea.

Masada String Trio: Mark Feldman, violino; Erik Friedlander, violoncello; Greg Cohen, contrabbasso. John Zorn, seduto su un cuscino per terra, dirigeva. Un’interpretazione libera e attenta, acustica, “classica” con venature di musica antica, dei temi di Masada. A tratti assolutamente ipnotico. Mi ha fatto venire in mente, per le venature orientali e le sonorità arcaiche, il concerto di Sarband con i King’s Singers.

Electric Masada: John Zorn, sassofono; Marc Ribot, chitarra; Jamie Saft, tastiere; Ikue Mori, elettronica; Trevor Dunn, basso; Cyro Baptista, percussioni; Joey Baron, batteria; Kenny Wollesen, batteria. La versione “corrente” del progetto Masada e, insieme, la sintesi di tutto quello che abbiamo sentito nelle tre serate. Immaginatevi la densità e la compattezza del suono di un organico che ha una sezione ritmica con basso elettrico, due batterie e percussioni. Immaginate il dialogo tra Ribot e Zorn, due pazzi. A tratti sembrava di sentire il Miles Davis del 1974-1975 (il primo pezzo che hanno fatto era, vi giuro, funky), a tratti (come già con Bar Kokhba) la Mahavishnu Orchestra di John McLaughlin (e anche le sue incisioni con Carlos Santana), a tratti stralunati boleri o habanere, a tratti puro klezmer… Sono uscito con la sensazione che questa sia la musica (non il jazz, la musica tout court) più eccitante del momento. All’uscita, Roma era piena di macchine e moto che tornavano dal concertone di Vasco: per quanto lo ami, mi sono sentito tra gli happy few che condividevano un segreto.

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