Che ci siano film – soprattutto nell’ambito della “commedia all’italiana” – che illustrano vizi e caratteristiche del nostro Paese più della Storia d’Italia Einaudi, del Rapporto Censis o delle statistiche dell’Istat è cosa ben nota.
Fino a una quindicina d’anni fa ho fatto il “professionista” o il free-lance, come preferite voi. Non era molto diverso da quello che adesso si chiama lavoro precario. Andavo a lavorare tutti i giorni in uno studio professionale, dove avevo una sedia e una scrivania e, dopo qualche anno, grazie al progresso tecnologico, un personal computer. Formalmente, non svolgevo attività di lavoro subordinato: non mi aveva assunto nessuno. Formalmente, ero retribuito a progetto, con l’emissione di regolare fattura (facevo parte, già allora, del glorioso popolo delle partite IVA). La sostanza era diversa: ero pagato più o meno regolarmente, a fine mese, senza contributi, ma con la ritenuta d’acconto dell’imposta sui redditi. Niente versamenti pensionistici. Alla tutela sanitaria pensava il servizio sanitario nazionale. E non ero libero, ovviamente, di andare o non andare al lavoro, né di scegliere su quali ricerche lavorare.
Sostanzialmente, lavoravo in subappalto: svolgevo, per conto di qualcun altro e a una frazione del compenso, lavori di ricerca applicata che quel qualcun altro si era procacciato grazie al suo curriculum e alla sua reputazione professionale…
Italian Secret Service, un film di Comencini del 1968, è stato per me – da quando l’ho visto – il paradigma e la metafoira di questo modo di operare, così tipicamente italiano e forse, più ancora, romano.
Natalino Tartufato (Nino Manfredi) ha fatto il partigiano durante la seconda guerra mondiale, con il nome di battaglia di Cappellone e ha salvato la vita a un agente britannico, Charles Harrison (Clive Revill). Dopo vent’anni versa in cattive acque: non trova neppure lavoro perché non ha la licenza di terza media, e viene bocciato all’esame di matematica. Mentre torna a casa, esce una voce dalla cartella: è Harrison che, in nome dell’antica amicizia e del comune impegno antinazista, gli chiede di uccidere un pericoloso neonazista. Per 100.000 dollari. Natalino accetta, ma non ha più il coraggio di farlo. Allora subappalta il lavoro, passando l’incarico a un povero diavolo, un ladruncolo arrivato agli estremi, Ottone (Giampiero Albertini), per 50.000 dollari. Ma nemmeno Ottone ha il coraggio e subappalta a sua volta il “contratto”, per 25.000 dollari, all’avvocato Ramirez (Gastone Moschin), talmente spiantato da tenere “studio” in un caffè dotato di telefono a gettone. E via così, di subappalto in subappalto, finché l’infermiere Tony (Gianni Pulone) accetta per 3.125 dollari (mi pare) e se la cava trafugando un cadavere carbonizzato dall’obitorio…
Purtroppo i servizi italiani riuscivano a fare di meglio (o di peggio). Ma il mondo della ricerca applicata funzionava e funziona ancora così.