17 gennaio 1942 – Muhammad Ali

Nasce a Louisville, Kentucky, il più grande.

L’immagine che vedete qui sopra è celeberrima, ma ha una storia che merita di essere conosciuta. Nella rivincita con Sonny Liston, nel 1965, Ali mise ko Liston dopo un solo minuto. Convinto di non aver sferrato un colpo da ko, lo incita a riprendere il combattimento: di qui la curisa espressione tra la sfida e la derisione.

Memorabile anche l’incontro con Foreman del 30 ottobre 1974, a Kinshasa, quando contenne la sfuriata dell’avversario più giovane e potente, soffrendo alle corde per sette interminabili riprese, per poi stenderlo all’ottava. Mi alzai nel cuore della notte per seguire l’incontro.

Galileo, Giordano Bruno e Guarini (la saga continua)

La vicenda della visita dal papa alla Sapienza si chiude oggi (speriamo) in modo grottesco, ma soprattutto intollerabilmente poliziesco: chiudere l’Università agli studenti e ai precari che ci lavorano, e alla fine anche ai dipendenti muniti di tesserino, per fare spazio alla solita variegata nomenklatura presenzialista, questo sì che è stato un gesto di intolleranza e di censura. Contro cui, mi pare, nessuna delle anime belle e dei paladini della tolleranza che hanno tuonato in questi giorni si è sognato di dire qualcosa. Nessuna fa veglie per il diritto degli studenti e dei lavoratori dell’università, e quindi non stupitevi se quel diritto se lo difendono da soli.

Si segnala anche che Mussi (“Contesto le manifestazioni in atto”) e Veltroni (“Ciò che è successo, per un democratico, è inaccettabile”) hanno perso un’altra bella occasione per tener chiuso il becco (mio padre diceva che “il gallo, prima di cantare, scuote l’ala tre volte”; cioè medita prima di aprire bocca).

Il rettore Guarini – il vero responsabile di quanto accaduto, se ci riflettete anche soltanto un secondo (avrebbe potuto invitare il papa qualunque altro giorno dell’anno, e invece ha pervicacemente insistito perché la visita coincidesse con l’inaugurazione dell’anno accademico, prima per tenere una lectio magistralis de jure, e poi a tenerne una de facto) – si distingue ancora una volta per l’incapacità di assumersi una responsabilità. Quanto meno, se è vero quanto riferito da Francesco Caruso, che era andato a trattare l’accesso degli studenti e dei precari in università: “Il rettore Guarini ci ha detto che non è un problema suo, perché è la questura di Roma che deve decidere se farci entrare o no. La questura però dice che è Guarini che deve dare loro una comunicazione formale”.

Per completezza dell’informazione, segnalo che Marcello Cini – che con la sua civilissima lettera aperta al rettore della Sapienza del 14 novembre ha dato avvio al dibattito sul significato della presenza papale all’inaugurazione dell’anno academico – interviene di nuovo sull’argomento dalle colonne de il Manifesto di oggi (17 gennaio 2008). Riporto i passi essenziali dell’intervista.

«Quello che mi indigna un po’, francamente, è questa pressoché unanime valanga che si sta rovesciando – oltre che su di me – sui firmatari dell’appello, sugli studenti che hanno reagito da studenti, in un unico blocco di violenti, intolleranti che hanno impedito al papa di venire alla Sapienza a parlare. Io rispondo per quanto mi riguarda, perché la mia è stata un’iniziativa personale – con una lettera scritta il 14 novembre su il manifesto – in cui mi rivolgevo al mio rettore. E lo criticavo anche aspramente perché vedevo nell’invito a inaugurare l’anno accademico della Sapienza (di questo si trattava, anche se prima come lectio magistralis, poi camuffata all’italiana con un intervento nello stesso giorno, comunque) ».

«La sostanza era l’invito al papa a inaugurare l’anno accademico. A questa proposta io ho reagito, e reagirei ancora oggi, per due ragioni. La prima è di tipo formale, ma essenziale. L’inaugurazione dell’anno accademico è un atto pubblico, forse il più importante, che riafferma la natura e la funzione dell’università come istituzione di crescita della conoscenza, di formazione della cultura al più alto livello, di uno stato laico, democratico, moderno, sui principi della Rivoluzione francese, dell’illuminismo e della modernità. Un atto importante – un rito se si vuole – che riafferma il modo in cui è organizzato questo processo di crescita e trasmissione della conoscenza alle giovani generazioni. Invitare al centro di questo rito laico un’autorità come il papa è di fatto una contraddizione in termini, non può che generare conflitto. Il papa è a capo di un’istituzione come la Chiesa cattolica, fondata su principi totalmente diversi – come il carattere gerarchico-autoritario, detentore di una verità assoluta proveniente direttamente da dio, quindi dalla trascendenza. Si fonda perciò su criteri di verità, metodologici e epistemologici, completamente diversi. È questo contesto che non si vuol capire. Ossia la coesistenza e il conflitto tra due istituzioni di natura diversa e fondate su principi in antitesi fra loro».

«Ciò non vuol dire che il papa, come professor Ratzinger, non sia un professore universitario, un intellettuale fine, colto, ecc. Ma la confusione tra queste due figure, che coesistono entro la stessa persona, ha permesso di generare – per esempio in occasione dell’invito a Ratisbona – un’interpretazione del suo discorso come una presa di posizione contro l’Islam, con tutte le polemiche che ne sono seguite».

«Non sarebbe successo nulla se il rettore e il Vaticano avessero semplicemente spostato la visita in un’altra data. Anche altri papi l’hanno fatto, esponendo il proprio punto di vista. Nei contenuti sarebbe stato poi approvato, obiettato, contestato, ecc.».

«Tutto questo si colloca in un contesto in cui questo papato – in particolare nel nostro paese – sta perseguendo una politica concreta tesa a sgretolare sempre di più la separazione tra Stato e Chiesa, tra repubblica italiana e clero. Questo ha creato una situazione in cui una presa di posizione legittima – un professore che si rivolge pubblicamente al proprio rettore – e fondata sulla separazione delle sfere di competenza, viene classificata, bollata e demonizzata come un’intolleranza da parte mia, dei miei colleghi e degli studenti. L’intolleranza quotidiana è quella che arriva alle telefonate del cardinal Bertone ai deputati italiani di stretta osservanza cattolica perché non votino certe leggi».

«Se questa reazione è un’intolleranza o un ’divieto di parlare’, siamo a un tale stravolgimento della realtà dei fatti che, da un lato, non può che indignarmi; dall’altro – vedendo che tutta la sinistra e il centrosinistra si accoda a questa mistificazione – deprimermi profondamente. C’è un’incapacità di reagire a questo pensiero unico per cui il depositario dei valori è la religione e i laici non hanno valori. Per acquietare le coscienze e orientarsi sul senso della vita, sul lecito e il non lecito, su tutte queste cose l’unico riferimento ritorna a essere la religione. È colpa nostra».

Grazie, professor Cini.

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