15 gennaio – Rosa Luxemburg

Il 15 gennaio 1919, Rosa Luxemburg e Karl Liebknecht sono rapiti e uccisi dalle milizie di estrema destra dei Freikorps agli ordine del governo socialdemocratico di Friedrich Ebert.

L’assassinio fu il frutto di una lotta fratricida nel campo della sinistra (non la prima, né l’ultima); si dice che Lenin e il suo rappresentante tedesco (Karl Radek) non siano stati estranei ai fatti.

Si deve a Rosa Luxemburg la frase: O socialismo o barbarie. Secondo le ultime notizie, avrebbe vinto la barbarie, almeno per ora: si spera nel diuturno scavo della talpa.

Qui sotto il monumento eretto da Mies van der Rohe nel 1926 a Berlino (e ovviamente poi demolito dai nazisti).

Peso el tacòn del buso

Peggio il rattoppo del buco, si dice in Veneto.

Se si dovesse scegliere, tra i tanti, un esempio dell’italica furbizia e dei suoi tragicomici risultati si dovrebbe prendere la vicenda della presenza papale all’inaugurazione dell’anno accademico nella più grande università italiana per numero d’iscritti (non la più antica, né la più prestigiosa, però).

Riassunto delle puntate precedenti. A metà novembre si diffonde la notizia che Joseph Ratzinger, alias Benedetto XVI, è invitato a tenere la lectio magistralis in occasione dell’inaugurazione dell’anno accademico. Almeno il suo predecessore aveva formulato delle tardive e stentate scuse per il processo a Galileo Galilei e qualche altra assortita nequizia della chiesa. Ma questo non fa mistero di non pensarla così ed è stato fino all’altro ieri responsabile del Sant’Uffizio e distributore di censure a chiunque, dall’interno della chiesa, fosse portatore di istanze modernizzatrici (per me non fa molta differenza, ma per alcuni – lo capisco – ne fa molta). Tra l’altro, l’ultima volta che il pontefice ha tenuto una lectio magistralis, a Ratisbona, ha provocato la reazione indignata dei fratelli islamici: con buona pace dell’ecumenismo. I laici insorgono. Il professor Marcello Cini scrive una lettera aperta.

Il rettore Renato Guarini fa marcia indietro. Astuta soluzione: l’inaugurazione dell’anno accademico sarà rigorosamente laica, ma – dato che il papa si troverà quel giorno a passare di là – perché non invitarlo a dire due parole sulla pena di morte (che secondo il codice ecclesiastico e il catechismo della chiesa cattolica è pena prevista e lecita)? Magari apparentandola con l’aborto, come la retorica perversa di queste settimane ha preteso di fare? Esempio fulgido di genio italico.

Qualcuno protesta. 67 su 4.000, minimizza Guarini. Che protesta civilmente non lo dice nessuno. Anzi si grida alla censura e si invocano i principi della sacrosanta libertà di parola. Come se il papa non occupasse quotidianamente radio televisioni e carta stampata per intervenire pesantemente nella vita politica italiana e nelle questioni private dei cittadini, soprattutto in materia di sessualità. Come se questa non fosse l’ennesima, superflua occasione di dire la sua.

Le anime belle della libertà religiosa organizzano veglie e contro-manifestazioni. Sono gli stessi, badate bene, che appena qualche settimana fa si sono rifiutati di ricevere il Dalai Lama per non far irritare i preziosi partner commerciali cinesi (aveva fatto eccezione, gliene va dato atto, soltanto Bertinotti).

Poi il capolavoro: il papa non ci va più. Offeso, se fosse un comune mortale. Ma per alcuni non lo è: dunque maestosamente superiore alle nostre povere beghe. Autogol alla Cordoba.

Le anime belle, destra e sinistra, delirano all’unisono:

Veltroni: l’intolleranza fa male alla democrazia (ma anche…)

Berlusconi: intolleranza e fanatismo (Veltroni il fanatismo se l’era dimenticato)

Casini: onda di vergogna sull’università (il bìgamo)

Cicchitto: bravi nipotini di Zdanov e Goebbels (da che pùlpito, il nipotino di Bettino…)

Udeur: pessima figura italiana (come non concordare?)

Giordano: sono molto dispiaciuto (irrilevante, come solo lui sa essere)

Fini: profondamente amareggiato e indignato per il clima anticlericale (ma dov’era, in Spagna?)

Di Pietro: umiliato come cittadino e come credente perché la chiesa è portatrice di pace (rimandiamolo a scuola!)

Formigoni: Bush può andare in Iraq, il Papa no in una università (forse prima la dovrebbe invadere con le famose divisioni di staliniana memoria)

Ferrara: vergogna inaccettabile, tutto questo in odio a un uomo mite, colto, sensibile (sì, sta parlando di Ratzinger! voglio conoscere il suo pusher)

Castelli: hanno vinto i nazisti rossi (questa volta non i suoi nazisti verdi, evidentemente)

Follini: rinuncia a lezione di spirito liberale (Ratzinger l’ha denunciato per diffamazione, suppongo)

Calderoli: superato ogni limite (lasciatelo dire a me che me ne intendo)

Bertinotti: no comment (premio ignavia 2008)

Quest’oggi voto Boselli (e mi costa, veh se mi costa…):

“Quella di annullare la visita credo sia una scelta opportuna”. Lo afferma il leader del Ps Enrico Boselli. “Bisogna ricordare – osserva ancora – che il clero in questi mesi ha contestato leggi in vigore, penso alla 194, e ha ammonito a non fare altre leggi, penso a quella sulle unioni civili. Per questo quando entrano fortemente nel dibattito politico devono attendersi che qualcuno risponda”. Ai cronisti che chiedono se oggi si sia registrata una “vittoria laica”, Boselli boccia questa lettura: “Credo che nessuno abbia il diritto di mettere il bavaglio al Papa, ma di fronte a questi continui interventi del Vaticano è giusto che alcuni studenti, alcuni intellettuali abbiano il diritto di critica, hanno il diritto di ricordare che la scienza deve essere svincolata dalla religione. Quanto al laicismo – conclude Boselli – non credo esista. Esiste la laicità alla quale si ispira la stragrande maggioranza dei cattolici italiani. Piuttosto si sarebbe dovuto riflettere di più prima di avanzare questo invito, tuttavia tutto si può dire tranne che le gerarchie cattoliche non abbiano pieno acceso ai mass-media italiani com’è giusto che sia in un Paese democratico”.

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Paris, Texas

Paris, Texas, 1984, di Wim Wenders, con Harry Dean Stanton, Nastassja Kinski e Aurore Clément.

Sicuramente non il film più bello di Wenders, tra quelli visti finora. Ma alcune cose sono memorabili, a partire dalla colonna sonora scritta ed eseguita da Ry Cooder.

Anzitutto, la sequenza di apertura, in cui musica, movimenti di macchina, paesaggio e colori creano un fortissimo senso d’attesa.

Poi c’è l’uso del colore. Virato, acido, assolutamente innaturale. Con un effetto di straniamento assoluto. Ad esempio, l’ultima scena è tutta verde. Verde il vestito di Nastassja Kinski, verde il pigiamino di Hunter, verde acido l’illuminazione del parcheggio in cui Travis aspetta.

Questa America irreale, dai colori virati, questi deserti da film western, fanno pensare a Zabriskie Point (anche l’uso della musica, con il parallelismo Ry Cooder – Jerry Garcia, contribuisce all’evocazione), fanno pensare, soprattutto, a un sogno in cui emergono dei ricordi che non sapevi di avere vissuto.

Il film non riesce a mantenere questa tensione onirica per tutti i suoi 139 minuti. Dopo un po’ la vicenda prende il sopravvento e la narrazione diventa tradizionale.

Fino alla celeberrima, interminabile, sequenza del colloquio tra Travis e Jane, separati da uno specchio in un peep show, che comunicano senza vedersi, separati da una barriera (la simbologia è fin troppo facile) che impedisce loro di vedersi, anzi che rimanda a ciascuno la propria immagine, invece di quella dell’altro. C’è, a un certo punto, un’immagine straordinaria: di là del vetro c’è Jane, ma per un gioco di riflessi Travis vede la propria faccia sovrapposta a quella di lei. (Al contrario, quando il bambino è con il padre che indossa una felpa rossa, è vestito di rosso anche lui, rosso e verde,maschile e femminile, animale e vegetale…)

Noi esteti ci alziamo in piedi a urlare.

Ancora un tema di Antonioni, l’incomunicabilità, come si diceva allora. All’epoca, immagino, più che una metafora sembrò un’iperbole. Ma che cosa facciamo, in realtà, noi, oggi, che riversiamo in un blog ad anonimi lettori i pensieri più segreti?

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