Andrea Tomaselli. Le avventure del conte Vinicio Duarte narrate da un folle in una degenza di fine millennio. Roma: Il Filo. 2005.
Mi dispiace recensire negativamente un libro prestato e raccomandato da un amica. Ma mi sono proposto di recensire le mie letture, tutte, vie via che le concludo e non mi va di violare il principio alla seconda! Fatto sta che il libro, dopo un inizio incoraggiante, non mi è piaciuto.
Cito subito la cosa migliore: un certo uso del linguaggio, un turpiloquio giovanilistico abbastanza azzeccato.
Passiamo a quello che non mi è piaciuto. Intanto il prologo: inutilmente barocco. Perché non raccontare la storia direttamente, senza l’artificio di un narratore folle, che poi non torna più? Secondo artificio il vampiro: se ti sta sul cazzo l’intero pianeta, Andrea, e sei dell’umore di cui era Guccini quando ha scritto L’avvelenata, sfogalo in prima persona e non farlo dire a un altro. E guarda che scrivere di vampiri, dopo Bram Stoker e persino Anne Rice è diventato difficile. Terzo: l’indignazione è un oggetto di scrittura difficile, che richiede leggerezza e soprattutto – per quanto strano possa sembrare – empatia. Se non sei Swift, almeno cerca di essere Menandro (homo sum: humanum nihil a me alienum puto – era anche uno dei motti preferiti di Karl Marx). Infine, il peccato mortale: Baricco aleggia…
domenica, 18 marzo 2007 alle 13:07
Poichè mai e poi mai vorrei essere l’avvocato difensore di Andrea, non potevo far altro che segnalargli questa tua recensione…..magari si farà vivo lui…forse di notte!