Giusto per la decenza (faccio finta che sia una roba colta invece di una stupida fobia): io sapevo che veniva dall’arabo (al-barquq o al-berquq), ma non sapevo che a sua volta l’arabo l’avesse preso dal latino praecócum, variante di praecócem, perché maturava prima della pesca. Mah!
Comunque, oggi mangiavo un’albicocca. Ogni anno ci provo, più d’una volta. Sempre ne sono deluso: non sento quel sapore acidulo e profumato, dolce ma con una punta di bruschino, tipico delle albicocche d’antan. Niente. Le albicocche sanno di nulla, o di patata (nel senso cattivo del termine) o di acerbo. Mai dell’albicocca che ricordo, che deliziava la mia giovinezza.
Qualche traccia dell’antico gusto d’albicocca si trova ancora in qualche marmellata, non nelle caramelle (troppo dolci e artificiali), in tracce nel profumo delle fresie. E mi sono sempre domandato: ma possibile che la nostra tecnologia, che manda l’uomo sulla luna, che mette su un chip milioni di macchine logiche, che fabbrica cuori artificiali, che modifica geneticamente i pomodori affinché non ammuffiscano eccetera eccetera eccetera, possibile che la nostra tecnologia non sia in grado di ridare il loro sapore alle albicocche? Eppure con le fragole c’è (quasi) riuscita!
Oggi mi è caduto il velo dagli occhi e ho capito. Appartengo all’ultima generazione (quella dei baby boomer) che può ricordare il sapore vero delle albicocche (Alzheimer permettendo). La tecnologia costa, perché dannarsi l’anima? Stanno semplicemente aspettando che moriamo tutti. Poi, del sapore delle albicocche si sarà persa la memoria. La tecnologia è paziente.
giovedì, 5 luglio 2012 alle 18:04
[…] Definire per esempio cinque e solo cinque tipi di mele farà sì che le mele prodotte saranno tutte di cinque e non più di cinque tipi. Senza saperlo, il mercato dei futures affronta e risolve a modo suo la discussione medievale sugli universali, il dibattito tra nominalisti e realisti, quando gli scolastici cercarono di risolvere il dilemma se i nomi delle cose sono pura convenzione, alito di voce, o se le idee corrispondano alla realtà oggettiva di ciò di cui esse sono l’idea, o se ancora esse hanno una realtà propria indipendente da noi che le pensiamo e dagli oggetti che vediamo. Per vendere e comprare un bue-futuro, il mercato deve definire “il bue ideale”, “l’idea di bue”. Una volta definita quest’idea, fissato lo standard, la realtà del bue allevato deve adeguarvisi, altrimenti non trova mercato. Negli Stati Uniti ogni anno migliaia di tonnellate di mele sono buttate perché di dimensioni inferiori di qualche millimetro a quelle fissate dagli standard ufficiali. Qui, per quanto all’inizio derivi da una pura convenzione arbitraria, il nome della cosa produce la sua cosa. Non solo. Esso ne definisce l’essenza, la quidditas, e perciò esclude dalla sua sostanza tutto ciò che non rientra nella definizione. Nel mercato dei futures di manzo non è definito il sapore della bistecca, come nei futures delle mele non è definito il sapore, ma solo la varietà, la dimensione, il colore. Quindi la quidditas della mela, la “melità” è definita dal colore, dalla consistenza, dalla dimensione, più in generale dalla forma, ma non dal sapore. E se il sapore è troppo “definito”, esso si scosta dalla norma. Meglio un non sapore che un sapore troppo preciso. Quella stessa definizione che si disinteressa del sapore della cosa tende a produrre cose senza sapo…. […]
domenica, 29 luglio 2012 alle 22:50
[…] Agli albori di questo blog, oltre 5 anni fa, ho scritto un post melanconico e compiaciuto sull’assenza di sapore delle albicocche. Se vi va di rileggerlo lo trovate qui. […]