Aguirre, furore di dio

Aguirre, furore di dio (Aguirre, der Zorn Gottes), 1972, di Werner Herzog, con Klaus Kinski.

È il primo film di Kinski con Herzog: il sodalizio durerà oltre 15 anni.

Per apprezzare Aguirre bisogna dimenticarsi degli altri film (e dei libri) in cui un viaggio su un fiume in un paese lontano diventa una metafora narrativa: Cuore di tenebra di Conrad (e Apocalypse Now di Coppola) e lo stesso Fitzcarraldo di Herzog.

Aguirre non procede, in realtà. Non risale il fiume, lo discende. Non è una lotta contro il destino, è una discesa agli inferi. È un lento, sempre più lento arrancare verso l’immobilità.

All’inizio, la discesa dalle Ande, mentre ancora scorrono i titoli di testa, è resa interminabile dal campo lunghissimo, in cui la spedizione si snoda zigazagando, senza mai arrivare. Soltanto le acque, gli elementi sono turbinosi.

Nei momenti cruciali, le zattere non procedono, girano su se stesse.

Le zattere affondano, anche. Alla fine, emergono appena dall’acqua. Al tempo stesso, si decompongono. Ritornano natura.

Gli spagnoli si aggrappano alle convenzioni e agli usi della loro società, lontana migliaia di miglia. Al re di Spagna si fa sempre riferimento, anche per disconoscerlo. Lo stesso si fa per Gesù Cristo, in nome del quale si compiono soltanto atti di violenza.

Aguirre è l’unico a cogliere il senso della spedizione, proprio perché folle. Folle e puro: non gli interessa l’oro. Aguirre non fa calcoli (se non figuratamente e insensatamente: “chi diserta, lo farò in 198 pezzi, che poi calpesterò fino a farne una poltiglia per dipingere i muri; chi prende una goccia d’acqua o un chicco di mais più della sua razione, lo imprigionerò per 155 anni…”).

Aguirre non è malvagio, è cinico (in senso filosofico). In quanto tale, è fin dall’inizio più vicino allo stato di natura. Quando una parte dei compagni si propone di dare una sepoltura degna (nella terra) ai morti della zattera, Aguirre chiede a Perucho di farla saltare a cannonate. Nessun rito umano, civile, ha più senso.

Alla fine, quando il ritorno alla natura, la de-evoluzione di Aguirre è completa (è circondato da un esercito di scimmiette), è completa anche la sua trasformazione in superuomo: condannato a non morire dalla sua volontà di potenza (come Nosferatu, immortale re dei ratti).

È un film che potrebbe essere senza parole, soltanto immagini e la musica dei Popol Vuh (un test infallibile di qualità, secondo Hitchcock).

La stessa natura è silenzio. Gli indios uccidono in silenzio, e sono anche invisibili. Gli animali sono non visti (i richiami fischiati dagli uccelli) o perfettamente silenziosi (la farfalla che si posa sulle dita…).

[Una nota personale: chi è stato nella foresta primaria, anche pochi giorni da turista, conosce il senso di profonda incontrollabile paura, e di mistero, che viene dai richiami degli uccelli, dal gocciolare dell’acqua dai remi della canoa, dal caldo umido palpabile, dagli odori, dagli scricchiolii e dagli sciaquettii…]

Alla fine, insieme ai suoni e al movimento, si dissolve la stessa realtà. La figlia di Aguirre si spegne in un estasi, o in un sorriso.

Anche il silenzio progredisce, finché resta soltanto la voce di Aguirre che grida nel deserto.

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Statistica e par condicio

La notte del 2 luglio – come molte altre – stavo ascoltando il giornale-radio della mezzanotte su Rai1. Nei titoli è stata annunciata questa notizia: “A 3 anni dalla legge 40, meno nascite in Italia con la procreazione assistita. Quadruplicate le coppie che si recano all’estero”. Il GR lo potete ascoltare a partire da questa pagina (cliccate su “Ascolta” in alto a destra; il servizio è intorno ai 12’45”).

Lì per lì il servizio di Ilaria Amenta mi ha entusiasmato: in estrema sintesi, ha snocciolato le statistiche presentate dal ministro della sanità. Ho poi verificato che ha citato, riassumendolo un po’ ma con estrema correttezza, il comunicato-stampa del ministero, che riporto qui sotto:

Nella presente Relazione abbiamo a disposizione per la prima volta i dati ufficiali del Registro nazionale dell’Iss relativi all’applicazione delle tecniche di Pma effettuate nel nostro Paese nell’anno 2005.

Al fine di esplicitare gli effetti dei cambiamenti intervenuti a seguito dell’applicazione della legge 40/2004, e per effettuare quindi un confronto tra l’anno 2003 e l’anno 2005, tra la situazione prima e dopo la legge, sono stati analizzati i risultati riferiti alle tecniche a fresco Fivet e Icsi negli anni 2003 e 2005 da cui emergono i seguenti risultati:

  • complessivamente sono stati raccolti i dati di 169 centri contro i 120 del 2003, dai quali risultano 6.235 gravidanze contro le 4.807 del 2003, con una media di gravidanza per centro del 36,9% a fronte del 40,1% del 2003;
  • le pazienti trattate sono state 27.254 nel 2005 contro le 17.125 del 2003;
  • le percentuali di gravidanze ottenute sui prelievi passano dal 24,8% del 2003 al 21,2% del 2005, con una riduzione di 3,6 punti percentuali;
  • applicando la percentuale di gravidanze ottenute sui prelievi nel 2003 ai prelievi eseguiti nel 2005, si evince una perdita ipotetica di 1.041 gravidanze;
  • il numero di trasferimenti effettuati con un solo embrione è passato dal 13.7% del 2003 al 18.7% del 2005, mentre più del 50% dei trasferimenti viene effettuato con tre embrioni contro il 44% del 2003;
  • è aumentata dal 22.7% del 2003 al 24.3% del 2005 la percentuale di parti plurimi (parti gemellari, trigemini e multipli);
  • sono aumentati dal 23.4% nell’anno 2003 al 26.4% nell’anno 2005 gli esiti negativi delle gravidanze, per aborti spontanei, morti intrauterine, gravidanze ectopiche correlate all’obbligo di impianto di tutti gli embrioni previsto dalla legge 40/2004.

Rispetto alla situazione precedente l’entrata in vigore della legge risulta quindi:

  • una diminuzione delle percentuali di gravidanze, con conseguente diminuzione di bambini nati;
  • una più elevata percentuale di trattamenti che non giungono alla fase del trasferimento o con bassa possibilità di successo (trasferimento di un embrione non elettivo);
  • un numero di ovociti inseminati minore a fronte di un numero maggiore di embrioni trasferiti;
  • una più elevata incidenza di parti plurimi, con i conseguenti effetti negativi immediati e futuri per i nati e per la madre;
  • un aumento degli esiti negativi delle gravidanze.

Numeri impressionanti, mi pare. E anche eloquenti.

Quello che mi ha sorpreso, e mi ha tenuto sveglio per un po’, è il modo in cui è proseguito il servizio. La giornalista ha dato la parola a due “esperti”. Uno a favore e uno contro la posizione espressa dal ministro Turco, immaginavo. È una prassi, diremmo noi (gli esperti di radio e televisione dicono “è un format“): non so se è quello che chiamano “panino”, ma ha comunque a che fare con la par condicio e la necessità di contraddittorio. Invece no. Due voci critiche, nessuna a favore.
Il primo esperto è il professor Bruno Dallapiccola, cattolico, presidente di Scienza&Vita, difensore della legge 40. Ha detto in sostanza: “servono dati più disaggregati” (del resto, l’aveva detto anche il ministro nel comunicato stampa, poche righe dopo quelle che ho riportato).

La seconda voce critica – la dottoressa Eleonora Porcu, responsabile del Centro di sterilità dell’ospedale Sant’Orsola Malpighi di Bologna – ha contestato i dati, non con altri dati, ma con la sua esperienza. “Nella mia esperienza – ha detto – le gravidanze non sono diminuite, i parti plurimi non sono aumentati, gli esiti negativi non sono aumentati”. A questo punto, un’ultima battuta della giornalista (“Secondo la dottoressa Porcu andrebbero fissati dei limiti di età”: che vuol dire?) e il servizio finisce.

Che cosa mi ha tolto il sonno? Dov’è il punto?

Il punto è che penso sia importante abituarsi a ragionare in termini documentati e quantitativi. Il servizio del GR1 e la stessa relazione del ministero vanno in questa direzione (d’altra parte, questo delle relazioni al parlamento – i “libri bianchi” – è uso radicato nella tradizione parlamentare anglosassone e sta prendendo piede anche da noi, tant’è vero che è la stessa legge 40 del 2004 a prevederlo, all’articolo 15). Ma l’opinione (del tutto legittima, beninteso) della dottoressa Porcu non ci fa fare progressi in questa direzione, perché contrappone un punto di vista ai dati quantitativi.

Secondo me, ci sono due piani distinti di discussione: uno riguarda lo statuto dei dati statistici; il secondo, la loro interpretazione e valutazione. Confondere i due piani ingenera confusione.

Sono il primo ad affrontare i dati statistici con spirito critico. Ma la misurazione statistica di un fenomeno può essere utilmente e lecitamente criticata in due modi:

  • affermando che la misura è sbagliata (per impianto metodologico, per insufficienza del campione, per scarsa copertura …): ho fatto oppure ho fatto fare una misurazione diversa e migliore e voglio presentare e discutere i miei dati;
  • riconoscendo che la misura è corretta, ma contestando le conclusioni che ne sono tratte (perché, ad esempio, è sbagliata la logica dell’inferenza).

La dottoressa Porcu non fa né l’una né l’altra cosa, ma contrappone alla misurazione quantitativa… che cosa? altri dati, raccolti nel suo ospedale? se è così, perché non li presenta? e, in ogni caso, dobbiamo pensare che i dati di un solo centro siano più rappresentativi di quelli di tutti i centri italiani di procreazione medicalmente assistita (il registro nazionale delle strutture autorizzate all’applicazione delle tecniche di procreazione medicalmente assistita è istituito dalla legge 40, articolo 11)? la sua esperienza, che per quanto ampia sarà sempre episodica e aneddotica?

D’altro canto, la dottoressa Porcu non contesta neppure l’interpretazione dei dati del ministro della salute: perché per contestare l’interpretazione dovrebbe implicitamente riconoscere la validità dei dati.

A questo punto, penso che la responsabilità più grossa sia della giornalista e, più in generale, della linea editoriale dei GR della Rai. L’ascoltatore viene lasciato con la sensazione che ci siano due punti di vista contrapposti, due giudizi di valore diversi, sulla legge 40/2004 (chi la considera buona – la destra e i cattolici – e che cattiva – i laici e una parte del centro-sinistra). E questo è senz’altro vero.

Ma non era questa la notizia. La notizia era che una misurazione statistica condotta a norma di legge dall’istituto pubblico che i cittadini finanziano con le loro tasse “fa vedere” che la legge 40 produce effetti negativi. Questa informazione non ci è stata data in modo soddisfacente. Non ci è stato detto che potevamo andarci a leggere i dati e farci un’idea del loro significato analitico. Non ci è stato detto se sono dati di buona qualità (essendo di fonte pubblica, dobbiamo presumere di sì, fino a prova contraria? sono stati asseverati da qualche esperto esterno, ad esempio internazionale? si è levata qualche voce critica sulla misurazione statistica?). Non ci è stato detto se ci sono altre fonti d’informazione quantitativa.

Peggio, ci è stata data un’informazione fuorviante, perché lo spessore puramente aneddotico delle argomentazioni della dottoressa Porcu, una volta messe sullo stesso piano della relazione del Ministero della salute e dell’Istituto superiore di sanità, ha abbassato anche la relazione al livello di un punto di vista.

Che fare? Andiamo a leggere la relazione e formiamoci un giudizio critico informato da soli.