Il 26 luglio 1953, alle 5 del mattino, Fidel Castro alla testa di circa 160 ribelli mosse all’attacco della caserma fortificata Moncada, a Santiago di Cuba, forte di circa 400 uomini bene armati.
Il piano era d’impadronirsi della caserma per farne una base rivoluzionaria e un centro di propaganda e telecomunicazioni contro il regime di Batista, che era tornato al potere con un colpo di Stato.
L’idea di Castro era che – il giorno dopo la festa patronale – i soldati avrebbero scontato i postumi delle libagioni e si sarebbero fatti cogliere di sorpresa. Inoltre, una colonna di veicoli avrebbe dovuto dare l’impressione dell’arrivo di una delegazione ufficiale. Niente funzionò come previsto. I ribelli erano pochi. Non c’erano armi per tutti. Gli uomini erano armati per lo più con fucili da caccia. Il convoglio si spezzò e le armi pesanti non arrivarono mai. L’assalto fu un disastro: 61 ribelli uccisi, altri 50 catturati e torturati a morte. Un pugno di ribelli, tra cui Fidel, fuggì sulla Sierra Madre, ma fu catturato entro una settimana.
Al processo Fidel fu condannato a morte, ma la pena capitale fu abrogata prima dell’esecuzione della sentenza, tramutata in 15 anni di carcere. Castro e gli altri furono liberati nel 1955, per un provvedimento d’amnistia.
Dal fallito assalto prese il nome del Movimento fondato da Fidel Castro, il Movimiento 26 Julio o M 26-7, protagonista della rivoluzione vittoriosa del 1959.
Al processo per i fatti della Moncada, Castro – avvocato di formazione – si difese da solo, pronunciando la famosa frase “La storia mi assolverà” (l’arringa, coerentemente con i noti principi della retorica castrista, è lunga più di 25.000 parole e occupa 61 pagine a stampa!). Il tribunale della storia è ancora riunito in camera di consiglio.
Ne approfitto per segnalare la lettera aperta di Ivan Della Mea a Bertinotti, pubblicata su il manifesto di oggi, che ho riportato in una pagina di questo blog.
È ispirato all’assalto della Moncada un racconto di Julio Cortázar, El perseguidor.