Blow-up

Blow-up, 1966, di Michelangelo Antonioni, con David Hemmings e Vanessa Redgrave.

Ho pensato molte volte che essere miopi è anche un atteggiamento mentale, addirittura un approccio epistemico. Mi sono chiesto anche se venga prima la miopia, come predisposizione genetica e patologia, o questo atteggiamento. Anche se so benissimo che in realtà la miopia ha in genere cause genetiche, non c’è dubbio che noi miopi abbiamo l’abitudine di guardare da vicino. Tanto più uno è miope (e Boris è davvero molto miope), tanto più ha la capacità di mettera a fuoco oggetti molto vicini e di osservare dettagli invisibili all’occhio sano. Con il tempo, questa abitudine diventa, come dicevo, un atteggiamento mentale, rivelato dall’uso corrente della frase “a uno sguardo più ravvicinato”.

La tecnica del blow-up – che consiste nel sottoporre un’immagine a ingrandimenti successivi – è l’equivalente fotografico dell’avvicinare lo sguardo.

A entrambi corrisponde, come dicevo, un approccio epistemico, quello della fiducia nella capacità esplicativa del procedimento analitico. Senza spingermi ad azzardare elaborazioni sulla correlazione tra IQ e miopia (cœteris paribus, si riscontrerebbe una differenza di 7-8 punti in più nei soggetti miopi), nella mia esperienza personale c’è un evidente rapporto tra miopia e attenzione ai dettagli. Semplicemente, quando non sono corretto, non ho alternative: il quadro d’insieme mi sfugge, non posso che concentrami sui dettagli.

Il problema che il film solleva, è che, in questo avvicinamento all’oggetto, il processo di parallelo avvicinamento alla realtà è illusorio. A un certo punto, i singoli elementi perdono i loro rapporti con l’insieme, e la realtà ci sfugge. Il procedimento analitico privilegiato dalla tradizione occidentale, suggerisce Antonioni, incorre nello stesso problema: quando ci sembra di averla colta, la realtà si dissolve sotto i nostri occhi.

La metafora fotografica è abbastanza scontata: il fotografo diventa detective, la scena diventa scena del crimine. Ma il procedimento fotografico dà forza all’argomentazione: nella fotografia, i successivi ingrandimenti incontrano un limite fisico nella “grana” della pellicola, e a un certo punto l’illusione fotografica (e cinematografica) è rivelata. L’immagine si dissolve nei singoli punti bianchi e neri individualmente presi.

Anche se la tecnica è diversa, potete farlo anche con i pixel dello schermo del vostro computer: avvicinatevi il più possibile e, se non avete al fortuna di essere miopi, prendete una lente d’ingrandimento. Ogni pixel è acceso o spento; l’immagine sparisce.

C’è una vicenda parallela che chiarisce questo punto. Bill (John Castle) è un pittore che realizza quadri a partire da singoli punti di colore (una via di mezzo tra cromoluminarismo di Seurat e il drip painting di Pollock) e rivela a Thomas (David Hemmings) che solo dopo anni riesce a capire che cosa ha rappresentato in realtà. Più tardi Patricia (Sarah Miles), osservando l’ingrandimento massimo realizzato da Thomas, dove si dovrebbe intravedere il cadavere, commenta: “Sembra uno dei quadri di Bill”.

Via via, l’incertezza si sposta dall’immagine al mondo esterno: Thomas vede il cadavere ma non può documentarlo, l’amico Ron (strafatto d’erba, in un party in cui Verushka dice d’essere a Parigi!) non lo vuole accompagnare e lo stesso Thomas si fa coinvolgere dal festino. Il mattino dopo, il cadavere è scomparso. Ricompaiono nel parco i mimi che avevamo visto nelle sequenze iniziali. In una celebre scena, giocano a tennis senza pallina, anche se si sente il rumore. Thomas è invitato a raccoglierla, la rilancia … e sparisce anche lui. The End.

Il film è tratto da un racconto di Cortázar, Las babas del diablo.

Oltre alla famose sequenza degli Yardbirds, c’è una canzone dei Loving Spoonful. La colonna sonora è scritta da Herbie Hancock con la partecipazione dei Pink Floyd.

Pubblicato su Recensioni. 5 Comments »

5 Risposte to “Blow-up”

  1. Il barbarico re Says:

    Sulla correlazione tra Q.I. e miopia, penso che si possa spiegare in buona parte tramite una causa comune. Leggere molto fa diventare più intelligenti (o almeno più bravi a fare i test), ma anche più miopi.

  2. borislimpopo Says:

    La questione è molto controversa, ma pare che non sia così. C’è anche una correlazione tra lettura (e in generale attività che comportano una frequente e duratura messa a fuoco ravvicinata) e miopia, ma non così forte. E in ogni caso i risultati che ho citati sarebbero a parità di tutte le altre condizioni, il che (suppongo) implica che la variabile “lettura” sia tenuta sotto controllo…
    Colgo l’occasione per una precisazione: la notizia di una prima collaborazione dei Pink Floyd con Antonioni già ai tempi di Blow-up (che pure ho trovato in rete) mi pare francamente improbabile: il gruppo era già attivo sulla scena underground, ma non aveva inciso nulla; non mi sembra probabile che Yardbirds o Lovin’ Spoonful o “Herbert” Hancock potessero sentirli affini alla loro musica; e comunque sulla colonna sonora, recentemente ripubblicata, non ce n’è traccia.

  3. Murder by numbers » Blog Archive » Miopia Says:

    […] in montagna, né un cinghiale. Un daino sì, ma si stava lasciando morire sul ciglio del sentiero. Qualcuno sostiene che essere molto miopi significa vedere molto meglio i dettagli da vicino, forse è vero, […]

  4. Tinker Tailor … « Sbagliando s’impera Says:

    […] mi limiterei a riproporre la canzone degli Yardbirds (di cui abbiamo parlato più volte, qui, qui e qui), in cui Jimmy Page fa delle cose interessanti e sperimentali, suonando la chirtarra con […]

  5. L’imprinting e Lucio Dalla « Sbagliando s’impera Says:

    […] L’abbinamento al di Dalla furono gli Yardbirds (di cui abbiamo parlato più volte, qui, qui, qui e qui). Erano una leggenda già nel 1996, noti per avere due chitarre soliste in formazione (Jeff […]


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