L’eleganza del riccio

Barbery, Muriel (2006). L’eleganza del riccio. Roma: Edizioni e/o. 2007.

Solitamente diffido dei best-seller. Per un lettore onnivoro ma dal tempo limitato, come sono io, è una forma di difesa: evito, qualche volta, di perdere tempo leggendo una boiata (e vi assicuro che, anche così, di boiate ne ho lette tante). Ma tutto ha un prezzo, e così mi capita di leggere tardivamente un autore che valeva la pena: mi è successo, ad esempio, con Bruce Chatwin. L’eleganza del riccio lo vedevo in bella mostra in tutte le librerie in cui entravo, una copertina accattivante: diffidavo. Poi il tam tam è arrivato anche a me, da persone di cui mi fido. E l’ho comprato e letto.

È bello, diciamolo subito. Un inizio folgorante. Scritto bene (e il fatto che le due voci narranti, nell’edizione italiana, siano tradotte da due persone diverse aggiunge fascino a fascino). L’idea è molto bella: che si possa essere elegantemente “ricci”, difesi all’esterno da una barriera di aculei e teneri all’interno. Purtroppo, anche i ricci rischiano di soccombere, in una società classista, fortemente classista, più classista che nell’accezione marxista del termine, in un’accezione che a me fa pensare a Bourdieu.

L’altro libro cui mi ha fatto pensare questo è Il nicodemismo. Simulazione e dissimulazione religiosa nell’Europa del ‘500 di Carlo Ginzburg (Einaudi, 1970 – ma temo sia fuori catalogo). Si chiamavano nicodemisti (il termine fu inventato da Calvino, Giovanni non Italo) coloro che, protestanti per convinzione, si fingevano pubblicamente cattolici per evitare la persecuzione. Calvino, manco a dirlo, era contrario a questa pratica (preferiva il martirio); ma Valdo e i valdesi l’approvavano. Per estensione, il termine si è esteso a tutti coloro dissimularono pubblicamente le proprie convinzioni (ad esempio, Galileo dopo l’abiura). Curiosamente, il termine è mutuato dal vangelo di Giovanni: Nicodemo era un fariseo, con una posizione di rilievo tra i giudei, che per non farsi riconoscere come seguace di Gesù andava a trovarlo soltanto di notte. In questi anni di pensiero unico, in cui basta un’opinione eretica per essere emarginato, soprattutto se hai un posto di responsabilità, ho pensato molte volte al libro di Ginzburg, letto molti anni fa, e qualche volta ho anche praticato una mia versione del nicodemismo…

Anche i “ricci” Renée e Paloma sono nicodemisti: vivono in incognito in un condominio altoborghese in cui, per motivi diversi (Renée è la portinaia, Paloma è una bambina) non possono manifestarsi. Un deus ex machina spezza quest’equilibrio segreto, con conseguenze molto diverse, anche se in qualche modo prevedibili, per le due protagoniste. Un romanzo agrodolce, tipicamente francese. Con molte furbizie e qualche ingenuità (contrariamente a quanto molti hanno scritto, questa non è un’opera prima e la Barbery esce da quell’ambiente che, appunto, critica così efficacemente: quello dell’École Normale Supérieure).

Merita comunque di essere letto, non soltanto per la vicenda (o meglio la parabola) che racconta, e nemmeno soltanto per le discussioni filosofiche che introduce (la Barbery è un’insegnate di filosofia, e si sente), ma soprattutto per le domande che fa frullare per la testa: c’è scampo al proprio destino di classe? e se sì, come? e se non c’è scampo, si può almeno resistere individualmente? e collettivamente? queste forme di dominio che passano attraverso l’omologazione spietata, quale azione politica richiederebbero?

Non ho risposte. Non risposte semplici, né definitive. Ma è bello leggere un romanzo che, quando l’hai finito, lo chiudi e continui a pensare.

Pubblicato su Recensioni. 4 Comments »

4 Risposte to “L’eleganza del riccio”

  1. .mau. Says:

    boh, mia moglie l’ha appena letto e dopo un centinaio di pagine il suo giudizio è virato di 180 gradi verso “è solo un esercizio retorico, mi aspettavo molto di più”.

  2. morgaine Says:

    Anche per me questo libro è soprattutto un esercizio di stile: molto bello nella forma, ben scritto, una satira pungente e azzeccata, ma alla fine soffre proprio degli stereotipi che vorrebbe combattere. Ne faccio un esempio: quando il principe bacia il rospo, questo si trasforma in principessa: la portinaia sarebbe vecchia (a poco più di 50 anni) e brutta, ma quando va dal parrucchiere si scopre che ha bellissimi capelli e una volta vestita di lusso nessuno la riconosce più. In realtà non la riconosce perché non l’ha mai guardata. Secondo stereotipo: niente happy end per un bel romanzo (o film) francese e puntualmente questo romanzo finisce malissimo.
    Aggiungo una nota ridicola: in una trasmissione di radio 24 ho sentito a commento del libro l’intervista di una portiera che diceva che da noi in Italia non siamo così classisti!

  3. L’eleganza del riccio – una postilla | Sbagliando s'impera Says:

    […] fortunato romanzo di una decina d’anni fa (di cui ho parlato qui e qui) non c’entra […]


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