Citizen Kane, di e con Orson Welles (1941).
Il titolo italiano, diventato proverbiale, è fuorviante: del potere della stampa non si parla molto, e non è questo il tema centrale del film.
Il DVD è in edicola a 10 euro: che aspettate? E, se potete, guardatelo in lingua originale con i sottotitoli: vale la pena di sentire come recita Orson Welles, e anche godervi il maestro di musica italiano (Signor Matiste, interpretato da Fortunio Bonanova, un attore spagnolo!). Nel cast ci sono alcuni attori fantastici, tra cui Everett Sloane (Mr Bernstein), di cui abbiamo già parlato. Le musiche sono di Bernard Herrmann, autore anche di molte belle colonne sonore di Hitchcock. Alla fotografia Greg Toland, che sperimentò molte tecniche innovative (luci e obiettivi), tra cui il deep focus, che permetteva grande profondità di campo.
Due considerazioni.
Kane ha un sogno e per realizzarlo accumula ossessivamente oggetti (la panoramica sulle statue imballate nella villa di Xanadu), attività (giornalista, politico, impresario, magnate, ospite munifico) e persone (donne e “amici”). Ma, alla fine, il suo sogno era una nostalgia (Rosebud, che brucia con tutto il resto). Trasferito dal piano individuale a quello collettivo (il sogno americano: Kane stesso, accusato di essere comunista o fascista, si dichiara solamente americano), il messaggio è fortemente reazionario, come sempre quando si nega il progresso (e la sua stessa possibilità) e si rimpiange una qualunque età dell’oro (per questo, e non per l’adorazione che ne hanno avuto alcuni gruppuscoli di controcultura fascista, il Signore degli anelli è reazionario).
Kane è un genio, un essere umano straordinario. Nessuno lo comprende (le testimonianze delle persone a lui più vicine, l’inchiesta giornalistica che costituisce l’ossatura del film, il film stesso non ne scalfiscono la superficie). Rosebud resta un mistero. Non essere capito implica il non poter essere amato: non penso che ci sia amore senza comprensione. Più in generale, non penso ci possa essere empatia senza conoscenza – è l’altra faccia della sindrome di Asperger, in cui la nostra “teoria della mente” di comuni mortali non riesce a figurarsi quello che passa per la testa del genio o dell’uomo straordinario. Questa tragedia obbliga Kane all’egocentrismo, al narcisismo, a porsi al centro di tutto, all’amore di sé. Amare Charles Foster Kane: uno sporco lavoro, ma qualcuno deve pur farlo. E – chiaramente – siamo tutti un po’ Kane: Welles parla di sé, ma anche di noi.