Somiglianze di famiglia: metadati (4)

Promesse da marinaio. Non avevamo finito. “Dissi, vissi e mi contraddissi” è un mio motto. Consideratelo un commento a La classificazione dei bassotti (e anche un suo disvelamento).

Due brani di Wittgenstein:

Considera, ad esempio, i processi che chiamiamo “giochi”. Intendo giochi da scacchieri, giochi di carte, giochi di palla, gare sportive, e via discorrendo. Che cosa è comune a tutti questi giochi? – non dire: “deve esserci qualcosa di comune a tutti, altrimenti non si chiamerebbero ‘giochi’ “– ma guarda se ci sia qualcosa di comune a tutti. – Infatti, se li osservi, non vedrai certamente qualche cosa che sia comune a tutti, ma vedrai somiglianze, parentele, e anzi ne vedrai tutta una serie. Come ho detto: non pensare, ma osserva! – Osserva, ad esempio, i giochi da scacchiera, con le loro molteplici affinità. Ora passa ai giochi di carte: qui trovi molte corrispondenze con quelli della prima classe, ma molti tratti comuni sono scomparsi, altri ne sono subentrati. Se ora passiamo ai giochi di palla, qualcosa di comune si è conservato, ma molto è andato perduto. Sono tutti ‘divertenti’? Confronta il gioco degli scacchi con quello della tria oppure c’è dappertutto un perdente o un vincente o una competizione tra giocatori? Pensa allora ai solitari. Nei giochi con la palla c’è vincere e perdere; ma quando un bambino getta la palla contro un muro e la riacchiappa, questa caratteristica è sparita. Considera quale parte abbiano abilità e fortuna. E quanto sia differente l’abilità negli scacchi da quella nel tennis. Pensa ora ai girotondi: qui c’è l’elemento del divertimento, ma quanti degli altri tratti caratteristici sono scomparsi! E così possiamo passare in rassegna molti altri gruppi di giochi. Veder somiglianze emergere e sparire. E il risultato di questo esame suona: Vediamo una rete complicata di somiglianze che si sovrappongono e si incrociano a vicenda. Somiglianze in grande e in piccolo.

[…]

Non posso caratterizzare queste somiglianze meglio che con l’espressione “somiglianze di famiglia”; infatti le varie somiglianze che sussistono tra i membri di una famiglia si sovrappongono e si incrociano nello stesso modo: corporatura, tratti del volto, colore degli occhi, modo di camminare, temperamento, ecc. ecc. – E dirò: i ‘giochi’ formano una famiglia. E nello stesso modo formano una famiglia, ad esempio, i vari tipi di numeri. Perché chiamiamo una certa cosa ‘numero’? Forse perché ha una – diretta – parentela con qualcosa che finora si è chiamato numero; e in questo modo, possiamo dire, acquisisce una parentela indiretta con altre cose che chiamiamo anche così. Ed estendiamo il nostro concetto di numero così come, nel tessere un filo, intrecciamo fibra con fibra. E la robustezza del filo non è data dal fatto che una fibra corre per tutta la sua lunghezza ma dal sovrapporsi di molte fibre una all’altra. Se però qualcuno dicesse: “Dunque c’è qualcosa di comune a tutte queste formazioni, – vale a dire la disgiunzione di tutte queste comunanze” – io risponderei: qui ti limiti a giocare con una parola. Allo stesso modo si potrebbe dire: un qualcosa percorre tutto il filo, – cioè l’ininterrotto sovrapporsi di queste fibre.

Wittgenstein, Ludwig (1967). Ricerche filosofiche. Torino: Einaudi. 1967.

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Pasqua e pacchia

Questa mattina mi sono sveglaito con la curiosità di sapere se le parole “pasqua” e “pacchia” fossero apparentate dall’etimologia.

L’origine di “pasqua” la sappiamo tutti, almeno tutti noi che abbiamo bazzicato a lungo i preti e la Bibbia: dall’ebraico pesah (passaggio), attraverso il greco páscha, con una poetica contaminazione con il latino pascua (pascoli).

E pacchia? Secondo il Vocabolario Treccani, l’etimologia è ignota. Però il significato originario è suggestivo: “condizione di vita, o di lavoro, facile e spensierata, particolarmente conveniente, senza fatiche o problemi, senza preoccupazioni materiali; anche, l’aver da mangiare e bere in abbondanza”. Il Dizionario etimologico online propone tre possibili origini – il barbaro latino pacho (porco ingrassato), il latino pàtulum (ampio, spazioso) e il latino pàbulum (pascolo) – di cui preferisce la seconda.

Io invece preferisco la terza, perché la parentela tra pascua e pabulum conferma la mia ipotesi (noi ricercatori siamo fatti tutti così: cerchiamo soprattutto conferme; non credete a quelli che si dicono spassionati e popperiani puri!). In fin dei conti, la scorpacciata è quintessenziale alla pasqua (soprattutto per chi aveva digiunato per tutta la quaresima), a partire dalla tradizione della monumentale colazione pasquale.

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