La signora di Shanghai

La signora di Shanghai, di e con Orson Welles

Visto in televisione il pomeriggio di Pasqua (per la prima volta, mi pare).

Forse non è il capolavoro di Orson Welles, ma io sono rimasto con il fiato sospeso e a bocca aperta per gli 87 minuti del film. Cominciamo da qui: si può dire tutto in 90 minuti o poco meno, al cinema come in una partita di calcio. Questa era la regola, e i film più lunghi un’eccezione: quando uscì Barry Lyndon di Kubrik (184 minuti) tutti a lamentarsi; adesso per raccontare Il Signore degli anelli (fedelmente per carità: ma siamo sicuri che sia un pregio?) nove ore di film in tre puntate (208+223+251 minuti: 11 ore e passa)!

La storia è un noir, con tutti gli ingredienti del caso: una dark lady (ma è una straniata e inedita Rita Hayworth, con i capelli corti e biondi, così diafana da non sembrare la cattiva che è) e un eroe-vittima (che è ingenuo all’epoca dei fatti, ma commenta ironico fuori campo, evidentemente da un’epoca più tarda, in cui è diventato duro e disilluso come un Bogart).

La tecnica è raffinata. Il montaggio è nervosissimo, in cui alcune sequenze durano pochi secondi (la festa sulla spiaggia messicana); dà ritmo al film, e accelera nei momenti di maggiore tensione. Un’altro esempio è il passaggio dal recinto del tribunale (dove si svolge l’azione) al pubblico che commenta, con un forte contrasto tra un modo di filmare “normale” e i brevi flash sui volti e sulle battute dei curiosi (Welles odiava la gente, e traspare nella cattiveria con cui in pochi istanti mette in luce i loro – e nostri – tic). Welles, però, usa molto anche un altro tipo di inquadratura, un’inquadratura lunga, in cui i personaggi e gli eventi entrano ed escono. Poi c’è la fotografia in bianco e nero, che consente la creazione di “effetti speciali” (sì, questa una scare quote, che ho messo per attirare la vostra attenzione sul fatto che sto usando il termine “effetti speciali” in un’accezione diversa da quella consueta): non per prova di virtuosismo o per farsi ammirare dallo spettatore, ma per rafforzare il clima psicologico. Ne sono un esempio le ombre dei tralicci nella fuga nel luna park cinese, o l’agitarsi di un’enorme piovra sullo sfondo durante l’appuntamento all’acquario. I movimenti di macchina: memorabile quando segue Welles e la Hayworth facendo lo slalom tra i pilastri di un portico messicano. Ancora le inquadrature: geometrie quasi astratte formate dai moli del porto di San Francisco, l’unico elemento lineare, e dunque comprensibile, di una situazione tortuosa e confusa, per il protagonista e per gli spettatori.

Gli attori. Di lui non parlo nemmeno, stratosferico. Rita Hayworth – che all’epoca non piacque – sdraiata su un lettino canta con un filo di voce Please Don’t Kiss Me (è doppiata da Anita Ellis): la scena più sexy del film. Everett Sloane (Mr Bernstein in Citizen Kane) interpreta l’avvocato Bannister. Glenn Anders è un Grisby memorabile: non mi pare di averlo visto in nessun altro film, ma qui dimostra una grandissima classe.

Un film, in conclusione, in cui nulla è quello che sembra. Se vi resta ancora un dubbio – sembra dirci Welles – ve lo faccio capire nella celebre scena del labirinto di specchi.

Pubblicato su Recensioni. 4 Comments »

Wittgenstein

Rispondo pubblicamente a un commento su Somiglianze di famiglia.

Ho con Wittgenstein un rapporto di amore-odio. I suoi testi sono densi come melassa, e leggerli è faticosissimo: perdi la concentrazione un momento e ti chiedi: “ma che sta dicendo? sono io che non capisco?”. Frustrante.

Ho il sospetto che fosse affetto da sindrome di Asperger: questo spiegherebbe anche la sua incapacità di entrare in rapporto con le altre persone, molto più della sua supposta omosessualità (no pun intended). Non minacciava soltanto gli interlocutori con un attizzatoio (ma poteva mai essere a corto di idee?). Quando faceva il maestro, picchiava gli scolari e ne mandò uno all’ospedale. Nessuna giustificazione.

Però penso che dovremmo fare uno sforzo per tenere separata gli aspetti della vita personale dei geni (e di tutte le persone), per quanto sgradevoli o riprovevoli siano, dal contributo che hanno dato alla scienza e alle arti. Secondo me, Tristano, Parsifal e L’anello del nibelungo sono capolavori anche se piacevano anche ai nazisti e se Wagner era antisemita: mi dispiace che in Israele non se li possano godere. Furtwängler – sempre a mio parere – è il più grande direttore d’orchestra di tutti i tempi, anche se era filo-nazista e diresse i Berliner Philharmoniker in occasione del compleanno del Führer. Ciò non toglie che abbiano fatto bene a epurarlo: su questo episodio c’è un film molto interessante, che vi raccomando (A torto o a ragione)

Pubblicato su Opinioni. 6 Comments »