Jeff Noon. Falling Out of Cars. London: Black Swan. 2003.
In these days of chaos, possibilities abound.
Immagina che là fuori sia tutto rumore, rumore bianco, Snow Crash, Nacht und Nebel. Immagina che l’unico modo di dare senso e significato a tutto questo sia riuscire a cogliere differenze anche minuscole, Pattern Recognition. Non è soltanto questione di orientarsi, è questione di sopravvivenza. Forse è così il mondo per il neonato, una nebbia grigia; poi un volto, una voce, un succo dolce, una pelle calda, un odore di mamma; poi la differenza più grande, sapere chi/che cosa sono io e che cosa è il resto del mondo.
Immagina che questo sia il mondo che conosciamo, in cui noi siamo le migliori macchine mai esistite per scoprire le differenze anche più piccole, ma significative, rilevanti. E immagina che tutto questo abbia trasceso il nostro essere biologico, e abbia permeato il nostro habitat, la nostra cultura, la nostra economia, la nostra tecnologia. Il pianeta è un enorme Difference Engine.
Immagina che una malattia attacchi proprio questo, e che per chi è colpito il rumore accerchi e sovrasti il segnale. Soltanto un farmaco (o un vaccino) può attenuare i sintomi della malattia e rallentarne il decorso: Lucidity (in gergo Lucy). Ma non è soltanto il funzionamento della vita quotidiana a repentaglio, ma la tua stessa identità, che si slabbra dai margini – come la stessa Inghilterra. Orologi e specchi sono i nemici più grandi: ai primi vanno tolte le lancette, gli altri vanno coperti o girati contro il muro.
Marlene, Peacock, Henderson e Tupelo – che si sono incentrati per caso, uniti in una ricerca misteriosa e insensata – vagano per paesaggi sempre più incomprensibili. Cercano frammenti di specchio, e Marlene anche una figlia perduta. Definito dallo stesso autore un road novel, è invece un romanzo dell’immobilità, senza direzione e senza movimento, come è coerente che sia.
Naturalmente, ci sono debiti (riconosciuti) al Lewis Carroll di Alice attraverso lo specchio (un’ossessione di Noon, Alice) e al mito di Narciso. Ma sono le impalcature, lasciate a vista, di una grande costruzione autonoma.
Il libro è bellissimo. Non esito a definirlo un capolavoro: non della letteratura di fantascienza, in cui Noon viene incasellato, ma della letteratura tout court. Non penso di aver preso un abbaglio, con tutti i libri che leggo. E qui il grande mistero: nessuno conosce Noon. In italiano, dei suoi romanzi, ne sono stati tradotti un paio (Vurt e Pollen), esauriti. Dove sono i talent scout della case editrici?
If you can read this sentence, this one fragile sentence, it means you’re alive.
martedì, 27 marzo 2007 alle 23:29
concordo in pieno.
Certo che pure gli altri di Noon non sono niente male. Mi sta venendo voglia di rileggere tutta la sua opera da capo.
Ma chi era il catoptrofobico? Schopenauer?
giovedì, 29 marzo 2007 alle 16:13
[…] museo delle cose fragili Una mia libera traduzione/reinterpretazione di un brano da Falling Out of Cars di Jeff […]
venerdì, 4 Maggio 2007 alle 11:02
[…] già parlato di Jeff Noon e della […]
giovedì, 13 settembre 2007 alle 22:00
[…] a differenza del Jeff Noon di Falling Out of Cars, Gibson non si accontenta di costruire un’atmosfera, ma pretende di metterla al servizio di […]
mercoledì, 6 febbraio 2013 alle 22:40
[…] e, più tardi, il bellissimo Falling Out of Cars di cui ho scritto agli albori di questo blog (qui e qui). Di Jeff Noon ammiravo non soltanto la scrittura personalissima ed elegante, ma anche e […]