Ancora su Parma e dintorni.
Un contadino vedi in un campo un pappagallo. Non conoscendo l’uccello, ma già pregustandolo arrosto, si avvicina di soppiatto e, zac!, l’intrappola sotto il cappello.
Subito da lì sotto esce una voce cavernosa e impaziente:
– Co fèet? (“Che cosa fai?”).
– C’al scüsa, sior, l’eva tòt par n’osèl (“Scusi, signore, l’avevo presa per un uccello”), risponde il contadino, liberandolo.
Questa storiella, esile e vagamente surreale (potrebbe essere di Zavattini), me la raccontava spesso mio padre, sempre con quest’ambientazione parmense e imitando quel dialetto e la sua erre sonora e francese. Al di là del surrealismo, il senso ultimo è quello di mettere alla berlina quella miscela infernale di ignoranza e deferenza che il contadino, e molti altri, esibiscono.
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