1992. L’Italia si avviava verso la svalutazione e la crisi finanziaria. Tangentopoli impazzava. DC, socialisti e il triumvirato del CAF (Craxi, Andreotti, Forlani) stavano per abbandonare (temporaneamente) le scene. La mafia assassinava clamorosamente Falcone, Borsellino e le loro scorte.
Gli italiani mangiavano lo yogurt. Dominavano il mercato Danone, Parmalat e Yomo (e la pubblicità dello Yomo la faceva Beppe Grillo, che non era ancora diventato razzista). Nel resto del mondo, molti mangiavano invece lo yogurt Yoplait (sul mercato di 50 paesi Yoplait è lo yogurt leader).
Nel 1992, dunque, la società francese Sodiaal (che controlla Yoplait) si allea con la società tedesca Kraft (“cose buone dal mondo” – 130.000 punti-vendita). La joint-venture vuole affermarsi sul mercato italiano e inizia una campagna pubblicitaria costosa (20 miliardi dell’epoca, nel solo 1993) e martellante.
Ma con tutto lo yogurt che c’è, c’era proprio bisogno di Yoplait?
Alla fine del 1993 Yoplait ha conquistato (!) una quota del mercato degli yogurt del 2,5%. Il fatturato di quell’anno è di 30 miliardi (contro spese in pubblicità di 20 ed entry fee nella grande distribuzione per altri 8).
Nell’autunno del 1993 Kraft si ritira dalla joint-venture, anche se mantiene un ruolo come distributore. La Sodiaal annulla gli investimenti pubblicitari.
Dal 1999 il prodotto non è più presente sul mercato italiano.
Ma con tutto lo yogurt che c’è, c’era proprio bisogno di Yoplait?
Evidentemente no. Gli studiosi di marketing ne hanno fatto un caso di studio. Ma a noi (a me almeno) è rimasta una frase memorabile, con la forza di un proverbio.
giovedì, 10 gennaio 2008 alle 15:56
Definisce con buona approssimazione quelle situazioni in cui insensatezza, irrazionalità, sconclusionatezza, spreco di tempo hanno la meglio: quelle riunioni di lavoro dove si discute di n problemi complicati e c’è sempre qualcuno che aggiunge l’ennesimo.
giovedì, 10 gennaio 2008 alle 16:07
[…] Purtroppo, questo interessante sfondo sociologico non basta a fare un bel romanzo (o una bella serie di racconti – nemmeno questo si capisce bene): l’autore è incerto tra un tono favolistico alla sudamericana, un realismo magico alla García Márquez o una crudezza alla Céline. E allora il lettore rimpiange i modelli. È uno di quei casi in cui viene da esclamare: “Ma con tutto lo yogurt che c’è, c’era proprio bisogno di Yoplait?” […]