Galileo, Giordano Bruno e Guarini (ultimo atto)

Almeno si spera.

Riproduco qui un editoriale di Giovanni De Mauro comparso su Internazionale del 18 gennaio 2008.

Non notizia

“Ieri, alle 14.45 al nono chilometro della statale n. 1897 non si è verificato un terrificante scontro nel quale non hanno perso la vita cinque persone. Gli altri non hanno riportato ferite guaribili in periodi varianti tra un mese e 75 giorni. La polizia non ha avuto bisogno di compiere indagini”. Comincia così Un benefattore incompreso, uno dei meravigliosi racconti brevi di Gianni Rodari. Protagonista è un giovane giornalista che scrive articoli su fatti che non sono successi. Al direttore che, infuriato, gli chiede spiegazioni, risponde: “È la pura verità. Non c’è una parola di falso”. E alla fine, quando viene licenziato, commenta: “Lo sapevo. Lei è il quarto direttore che prende la stessa decisione. Sembra che le mie idee sul giornalismo siano troppo avanzate”. Ma nel frattempo il giovane cronista ha fatto scuola nei giornali italiani, perché quella del papa che non è andato all’università sembrava proprio una delle sue non notizie.

Dissento in parte perché due notizie ci sono:

  • montato e pieno d’aria come la panna, o gli albumi a neve, il non-avvenimento della non-partecipazione del papa all’inaugurazione dell’anno accademico della Sapienza si è insediato nella testa dei lettori e degli spettatori della televisione come un inquietante episodio di intolleranza perpetrato da uno sparuto manipolo di accademici a danni della “maggioranza silenziosa ” (sì, abbiamo dovuto leggere anche questo);
  • del fatto (questo sì, che è un fatto!) che dall’inaugurazione dell’anno accademico – che a rigore dovrebbe interessare soltanto loro, o soprattutto loro – siano stati tenuti lontani manu militari proprio i lavoratori dell’università e gli studenti, di questo non se n’è accorto quasi nessuno.

Il testo integrale del racconto di Gianni Rodari è qui.

17 gennaio 1942 – Muhammad Ali

Nasce a Louisville, Kentucky, il più grande.

L’immagine che vedete qui sopra è celeberrima, ma ha una storia che merita di essere conosciuta. Nella rivincita con Sonny Liston, nel 1965, Ali mise ko Liston dopo un solo minuto. Convinto di non aver sferrato un colpo da ko, lo incita a riprendere il combattimento: di qui la curisa espressione tra la sfida e la derisione.

Memorabile anche l’incontro con Foreman del 30 ottobre 1974, a Kinshasa, quando contenne la sfuriata dell’avversario più giovane e potente, soffrendo alle corde per sette interminabili riprese, per poi stenderlo all’ottava. Mi alzai nel cuore della notte per seguire l’incontro.

Galileo, Giordano Bruno e Guarini (la saga continua)

La vicenda della visita dal papa alla Sapienza si chiude oggi (speriamo) in modo grottesco, ma soprattutto intollerabilmente poliziesco: chiudere l’Università agli studenti e ai precari che ci lavorano, e alla fine anche ai dipendenti muniti di tesserino, per fare spazio alla solita variegata nomenklatura presenzialista, questo sì che è stato un gesto di intolleranza e di censura. Contro cui, mi pare, nessuna delle anime belle e dei paladini della tolleranza che hanno tuonato in questi giorni si è sognato di dire qualcosa. Nessuna fa veglie per il diritto degli studenti e dei lavoratori dell’università, e quindi non stupitevi se quel diritto se lo difendono da soli.

Si segnala anche che Mussi (“Contesto le manifestazioni in atto”) e Veltroni (“Ciò che è successo, per un democratico, è inaccettabile”) hanno perso un’altra bella occasione per tener chiuso il becco (mio padre diceva che “il gallo, prima di cantare, scuote l’ala tre volte”; cioè medita prima di aprire bocca).

Il rettore Guarini – il vero responsabile di quanto accaduto, se ci riflettete anche soltanto un secondo (avrebbe potuto invitare il papa qualunque altro giorno dell’anno, e invece ha pervicacemente insistito perché la visita coincidesse con l’inaugurazione dell’anno accademico, prima per tenere una lectio magistralis de jure, e poi a tenerne una de facto) – si distingue ancora una volta per l’incapacità di assumersi una responsabilità. Quanto meno, se è vero quanto riferito da Francesco Caruso, che era andato a trattare l’accesso degli studenti e dei precari in università: “Il rettore Guarini ci ha detto che non è un problema suo, perché è la questura di Roma che deve decidere se farci entrare o no. La questura però dice che è Guarini che deve dare loro una comunicazione formale”.

Per completezza dell’informazione, segnalo che Marcello Cini – che con la sua civilissima lettera aperta al rettore della Sapienza del 14 novembre ha dato avvio al dibattito sul significato della presenza papale all’inaugurazione dell’anno academico – interviene di nuovo sull’argomento dalle colonne de il Manifesto di oggi (17 gennaio 2008). Riporto i passi essenziali dell’intervista.

«Quello che mi indigna un po’, francamente, è questa pressoché unanime valanga che si sta rovesciando – oltre che su di me – sui firmatari dell’appello, sugli studenti che hanno reagito da studenti, in un unico blocco di violenti, intolleranti che hanno impedito al papa di venire alla Sapienza a parlare. Io rispondo per quanto mi riguarda, perché la mia è stata un’iniziativa personale – con una lettera scritta il 14 novembre su il manifesto – in cui mi rivolgevo al mio rettore. E lo criticavo anche aspramente perché vedevo nell’invito a inaugurare l’anno accademico della Sapienza (di questo si trattava, anche se prima come lectio magistralis, poi camuffata all’italiana con un intervento nello stesso giorno, comunque) ».

«La sostanza era l’invito al papa a inaugurare l’anno accademico. A questa proposta io ho reagito, e reagirei ancora oggi, per due ragioni. La prima è di tipo formale, ma essenziale. L’inaugurazione dell’anno accademico è un atto pubblico, forse il più importante, che riafferma la natura e la funzione dell’università come istituzione di crescita della conoscenza, di formazione della cultura al più alto livello, di uno stato laico, democratico, moderno, sui principi della Rivoluzione francese, dell’illuminismo e della modernità. Un atto importante – un rito se si vuole – che riafferma il modo in cui è organizzato questo processo di crescita e trasmissione della conoscenza alle giovani generazioni. Invitare al centro di questo rito laico un’autorità come il papa è di fatto una contraddizione in termini, non può che generare conflitto. Il papa è a capo di un’istituzione come la Chiesa cattolica, fondata su principi totalmente diversi – come il carattere gerarchico-autoritario, detentore di una verità assoluta proveniente direttamente da dio, quindi dalla trascendenza. Si fonda perciò su criteri di verità, metodologici e epistemologici, completamente diversi. È questo contesto che non si vuol capire. Ossia la coesistenza e il conflitto tra due istituzioni di natura diversa e fondate su principi in antitesi fra loro».

«Ciò non vuol dire che il papa, come professor Ratzinger, non sia un professore universitario, un intellettuale fine, colto, ecc. Ma la confusione tra queste due figure, che coesistono entro la stessa persona, ha permesso di generare – per esempio in occasione dell’invito a Ratisbona – un’interpretazione del suo discorso come una presa di posizione contro l’Islam, con tutte le polemiche che ne sono seguite».

«Non sarebbe successo nulla se il rettore e il Vaticano avessero semplicemente spostato la visita in un’altra data. Anche altri papi l’hanno fatto, esponendo il proprio punto di vista. Nei contenuti sarebbe stato poi approvato, obiettato, contestato, ecc.».

«Tutto questo si colloca in un contesto in cui questo papato – in particolare nel nostro paese – sta perseguendo una politica concreta tesa a sgretolare sempre di più la separazione tra Stato e Chiesa, tra repubblica italiana e clero. Questo ha creato una situazione in cui una presa di posizione legittima – un professore che si rivolge pubblicamente al proprio rettore – e fondata sulla separazione delle sfere di competenza, viene classificata, bollata e demonizzata come un’intolleranza da parte mia, dei miei colleghi e degli studenti. L’intolleranza quotidiana è quella che arriva alle telefonate del cardinal Bertone ai deputati italiani di stretta osservanza cattolica perché non votino certe leggi».

«Se questa reazione è un’intolleranza o un ’divieto di parlare’, siamo a un tale stravolgimento della realtà dei fatti che, da un lato, non può che indignarmi; dall’altro – vedendo che tutta la sinistra e il centrosinistra si accoda a questa mistificazione – deprimermi profondamente. C’è un’incapacità di reagire a questo pensiero unico per cui il depositario dei valori è la religione e i laici non hanno valori. Per acquietare le coscienze e orientarsi sul senso della vita, sul lecito e il non lecito, su tutte queste cose l’unico riferimento ritorna a essere la religione. È colpa nostra».

Grazie, professor Cini.

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10 combinazioni di tasti per Windows XP

Combinazione Funzione
Alt + Tab Passa da un programma aperto all’altro
Alt + F4 (in un programma) Chiude il programma
Alt + F4 (dal desktop) Apre la finestra di dialogo “Arresta/Riavvia”
Alt + Invio Apre la finestra “Proprietà” dell’oggetto selezionato
Alt + Esc Passa da un programma aperto all’altro nell’ordine con cui sono stati aperti
Alt + Barra spaziatrice Nella finestra attiva, apre la finestra di dialogo “Ripristina, Sposta, …, Chiudi”
Shift + Inserisci CD/DVD Non fa partire Autoplay o Autorun
Shift + Canc Rimuove un oggetto permanentemente (cioè non lo mette nel Cestino)
Ctrl + Shift + Esc Apre il Task Manager
Ctrl + trascina un oggetto Lo copia (invece di spostarlo)
Ctrl + Shift + trascina un’icona Crea collegamento
Click tasto destro + trascina un’icona Presenta il menu “Copia, sposta, crea collegamento”
F1 Apre l’Help di Windows XP
F2 Selezione il titolo dell’oggetto attivo, per rinominarlo
F3 Apre la ricerca di Windows (files e cartelle)
F5 (o Ctrl + R) Aggiorna la finestra
F6 Passa dall’uno all’altro degli elementi selezionabili
F10 Seleziona la barra del menu bar nel programma attivo e consenti di spostarsi con le frecce (Invio per selezionare)
Shift + F10 Equivale a clickare con il tasto destro del mouse
Ctrl + Esc Apre il menu Start

15 gennaio – Rosa Luxemburg

Il 15 gennaio 1919, Rosa Luxemburg e Karl Liebknecht sono rapiti e uccisi dalle milizie di estrema destra dei Freikorps agli ordine del governo socialdemocratico di Friedrich Ebert.

L’assassinio fu il frutto di una lotta fratricida nel campo della sinistra (non la prima, né l’ultima); si dice che Lenin e il suo rappresentante tedesco (Karl Radek) non siano stati estranei ai fatti.

Si deve a Rosa Luxemburg la frase: O socialismo o barbarie. Secondo le ultime notizie, avrebbe vinto la barbarie, almeno per ora: si spera nel diuturno scavo della talpa.

Qui sotto il monumento eretto da Mies van der Rohe nel 1926 a Berlino (e ovviamente poi demolito dai nazisti).

Peso el tacòn del buso

Peggio il rattoppo del buco, si dice in Veneto.

Se si dovesse scegliere, tra i tanti, un esempio dell’italica furbizia e dei suoi tragicomici risultati si dovrebbe prendere la vicenda della presenza papale all’inaugurazione dell’anno accademico nella più grande università italiana per numero d’iscritti (non la più antica, né la più prestigiosa, però).

Riassunto delle puntate precedenti. A metà novembre si diffonde la notizia che Joseph Ratzinger, alias Benedetto XVI, è invitato a tenere la lectio magistralis in occasione dell’inaugurazione dell’anno accademico. Almeno il suo predecessore aveva formulato delle tardive e stentate scuse per il processo a Galileo Galilei e qualche altra assortita nequizia della chiesa. Ma questo non fa mistero di non pensarla così ed è stato fino all’altro ieri responsabile del Sant’Uffizio e distributore di censure a chiunque, dall’interno della chiesa, fosse portatore di istanze modernizzatrici (per me non fa molta differenza, ma per alcuni – lo capisco – ne fa molta). Tra l’altro, l’ultima volta che il pontefice ha tenuto una lectio magistralis, a Ratisbona, ha provocato la reazione indignata dei fratelli islamici: con buona pace dell’ecumenismo. I laici insorgono. Il professor Marcello Cini scrive una lettera aperta.

Il rettore Renato Guarini fa marcia indietro. Astuta soluzione: l’inaugurazione dell’anno accademico sarà rigorosamente laica, ma – dato che il papa si troverà quel giorno a passare di là – perché non invitarlo a dire due parole sulla pena di morte (che secondo il codice ecclesiastico e il catechismo della chiesa cattolica è pena prevista e lecita)? Magari apparentandola con l’aborto, come la retorica perversa di queste settimane ha preteso di fare? Esempio fulgido di genio italico.

Qualcuno protesta. 67 su 4.000, minimizza Guarini. Che protesta civilmente non lo dice nessuno. Anzi si grida alla censura e si invocano i principi della sacrosanta libertà di parola. Come se il papa non occupasse quotidianamente radio televisioni e carta stampata per intervenire pesantemente nella vita politica italiana e nelle questioni private dei cittadini, soprattutto in materia di sessualità. Come se questa non fosse l’ennesima, superflua occasione di dire la sua.

Le anime belle della libertà religiosa organizzano veglie e contro-manifestazioni. Sono gli stessi, badate bene, che appena qualche settimana fa si sono rifiutati di ricevere il Dalai Lama per non far irritare i preziosi partner commerciali cinesi (aveva fatto eccezione, gliene va dato atto, soltanto Bertinotti).

Poi il capolavoro: il papa non ci va più. Offeso, se fosse un comune mortale. Ma per alcuni non lo è: dunque maestosamente superiore alle nostre povere beghe. Autogol alla Cordoba.

Le anime belle, destra e sinistra, delirano all’unisono:

Veltroni: l’intolleranza fa male alla democrazia (ma anche…)

Berlusconi: intolleranza e fanatismo (Veltroni il fanatismo se l’era dimenticato)

Casini: onda di vergogna sull’università (il bìgamo)

Cicchitto: bravi nipotini di Zdanov e Goebbels (da che pùlpito, il nipotino di Bettino…)

Udeur: pessima figura italiana (come non concordare?)

Giordano: sono molto dispiaciuto (irrilevante, come solo lui sa essere)

Fini: profondamente amareggiato e indignato per il clima anticlericale (ma dov’era, in Spagna?)

Di Pietro: umiliato come cittadino e come credente perché la chiesa è portatrice di pace (rimandiamolo a scuola!)

Formigoni: Bush può andare in Iraq, il Papa no in una università (forse prima la dovrebbe invadere con le famose divisioni di staliniana memoria)

Ferrara: vergogna inaccettabile, tutto questo in odio a un uomo mite, colto, sensibile (sì, sta parlando di Ratzinger! voglio conoscere il suo pusher)

Castelli: hanno vinto i nazisti rossi (questa volta non i suoi nazisti verdi, evidentemente)

Follini: rinuncia a lezione di spirito liberale (Ratzinger l’ha denunciato per diffamazione, suppongo)

Calderoli: superato ogni limite (lasciatelo dire a me che me ne intendo)

Bertinotti: no comment (premio ignavia 2008)

Quest’oggi voto Boselli (e mi costa, veh se mi costa…):

“Quella di annullare la visita credo sia una scelta opportuna”. Lo afferma il leader del Ps Enrico Boselli. “Bisogna ricordare – osserva ancora – che il clero in questi mesi ha contestato leggi in vigore, penso alla 194, e ha ammonito a non fare altre leggi, penso a quella sulle unioni civili. Per questo quando entrano fortemente nel dibattito politico devono attendersi che qualcuno risponda”. Ai cronisti che chiedono se oggi si sia registrata una “vittoria laica”, Boselli boccia questa lettura: “Credo che nessuno abbia il diritto di mettere il bavaglio al Papa, ma di fronte a questi continui interventi del Vaticano è giusto che alcuni studenti, alcuni intellettuali abbiano il diritto di critica, hanno il diritto di ricordare che la scienza deve essere svincolata dalla religione. Quanto al laicismo – conclude Boselli – non credo esista. Esiste la laicità alla quale si ispira la stragrande maggioranza dei cattolici italiani. Piuttosto si sarebbe dovuto riflettere di più prima di avanzare questo invito, tuttavia tutto si può dire tranne che le gerarchie cattoliche non abbiano pieno acceso ai mass-media italiani com’è giusto che sia in un Paese democratico”.

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Paris, Texas

Paris, Texas, 1984, di Wim Wenders, con Harry Dean Stanton, Nastassja Kinski e Aurore Clément.

Sicuramente non il film più bello di Wenders, tra quelli visti finora. Ma alcune cose sono memorabili, a partire dalla colonna sonora scritta ed eseguita da Ry Cooder.

Anzitutto, la sequenza di apertura, in cui musica, movimenti di macchina, paesaggio e colori creano un fortissimo senso d’attesa.

Poi c’è l’uso del colore. Virato, acido, assolutamente innaturale. Con un effetto di straniamento assoluto. Ad esempio, l’ultima scena è tutta verde. Verde il vestito di Nastassja Kinski, verde il pigiamino di Hunter, verde acido l’illuminazione del parcheggio in cui Travis aspetta.

Questa America irreale, dai colori virati, questi deserti da film western, fanno pensare a Zabriskie Point (anche l’uso della musica, con il parallelismo Ry Cooder – Jerry Garcia, contribuisce all’evocazione), fanno pensare, soprattutto, a un sogno in cui emergono dei ricordi che non sapevi di avere vissuto.

Il film non riesce a mantenere questa tensione onirica per tutti i suoi 139 minuti. Dopo un po’ la vicenda prende il sopravvento e la narrazione diventa tradizionale.

Fino alla celeberrima, interminabile, sequenza del colloquio tra Travis e Jane, separati da uno specchio in un peep show, che comunicano senza vedersi, separati da una barriera (la simbologia è fin troppo facile) che impedisce loro di vedersi, anzi che rimanda a ciascuno la propria immagine, invece di quella dell’altro. C’è, a un certo punto, un’immagine straordinaria: di là del vetro c’è Jane, ma per un gioco di riflessi Travis vede la propria faccia sovrapposta a quella di lei. (Al contrario, quando il bambino è con il padre che indossa una felpa rossa, è vestito di rosso anche lui, rosso e verde,maschile e femminile, animale e vegetale…)

Noi esteti ci alziamo in piedi a urlare.

Ancora un tema di Antonioni, l’incomunicabilità, come si diceva allora. All’epoca, immagino, più che una metafora sembrò un’iperbole. Ma che cosa facciamo, in realtà, noi, oggi, che riversiamo in un blog ad anonimi lettori i pensieri più segreti?

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13 gennaio – J’accuse…!

Il 13 gennaio 1898 Émile Zola – schierato con gli innocentisti – pubblica sul quotidiano socialista L’Aurore una lettera aperta al presidente della repubblica francese Félix Faure. È una pietra miliare della letteratura civilmente e politicamente impegnata, e anche un testo essenziale nella letteratura francese. Come spesso accade, tutti lo citano e nessuno l’ha letto.

“Parla per te!”, diranno i miei colti lettori. Va bene, parlo per me. Non l’avevo letto fino a oggi. Ma la lettura che ne ho fatto oggi mi ha talmente impressionato per la forza e l’attualità della lettera aperta che, a parte, ne riproduco il testo originale. Per i più pigri, qui c’è una traduzione integrale e un breve riassunto del caso Dreyfus (sì, me ne sono accorto, è la rivista del Sisde).

Una piccola nota a margine: il centro di controspionaggio del ministero della guerra francese, da cui partirono le accuse a Dreyfus, si chiamava Section de statistique (service de renseignements et de contre-espionnage).

A chi è interessato agli artifici retorici usati da Zola (io, ad esempio, sono molto interessato), suggerisco questo sito.

12 gennaio – Jack London

Nelle mie onnivore letture da bambino (i libri per ragazzi, ai miei tempi, erano “ridotti”, cioè censurati e scorciati delle parti ritenute noiose dal curatore), Zanna Bianca e Il richiamo della foresta non mi piacquero. Erano troppo drammatici, troppo tristi. Mi piacevano le storie che andavano a finire bene.

Per un po’ non lessi più nulla. Poi – facevo già l’università, penso – pubblicarono su un supplemento di Linus il racconto Farsi un fuoco. ne fui folgorato, e mi innamorai di Jack London e del Grande Nord.

Quando i miei figli furono abbastanza grandi, Zanna Bianca e Il richiamo della foresta furono tra i libri che lessi loro ad alta voce, un capitolo per volta, sera dopo sera, prima di dormire. Uno dei ricordi più belli che ho.

Per ricordare Jack London (John Griffith Chaney), nato a San Francisco il 12 gennaio 1876, riproduco a parte il racconto Farsi un fuoco.

11 gennaio

130 anni fa, l’11 gennaio 1878, ha avuto inizio la distribuzione del latte in bottiglie di vetro nella città di New York.