Titolo di prima pagina di Metro di oggi (18 aprile 2007): “La strage sul lavoro anche ieri due morti”.
Il tema è tragico, e vorrei che nessuno, in Italia e nel mondo, morisse così. Il fatto che il rispetto delle norme di sicurezza scongiurerebbe gran parte degli incidenti – e che il mancato rispetto delle norme sia frutto di calcolo economico (oltre che di sciatteria), nel senso che il costo della loro applicazione viene cinicamente comparato con l’entità del danno (valore della vita perduta per la probabilità dell’evento) – rende il fenomeno particolarmente odioso.
Ma non è di questo che voglio parlare. Voglio soffermarmi, invece, sull’opera di disinformazione che la stampa, e i media in generale, fanno su questo e sugli altri fenomeni, e su quello che possiamo fare noi, da soli, per informarci più correttamente. Premetto subito che il testo dell’articolo di Metro è particolarmente onesto, se paragonato quanto hanno detto e scritto organi d’informazione più titolati. Non riesce, però, a evitare la frase di prammatica: “Le morti bianche sono ormai una vera e propria emergenza nazionale”. Tutto ciò di cui parlano i (tele)giornali è emergenza! per essere newsworthy (“notiziabile”, l’ho sentito tradurre!) la notizia deve essere fuori dalla norma (l’uomo che morde un cane) e se non lo è la si rende tale.
Il resto dell’articolo, in questo caso, ci aiuta a ragionare. Secondo Onorio Rosati, segretario generale della Camera del lavoro di Milano, che anticipa i dati dell’osservatorio nazionale che verranno diffusi a fine aprile: “i dati del 2006 già registravano una crescita, con 1.280 decessi rispetto ai 1.265 morti del 2005”.
Prima considerazione: la crescita del 2006 è una brutta notizia, ma non è una crescita molto consistente sotto il profilo quantitativo (lo so, per le 15 famiglie in più che piangono una persona cara, che magari era quella che portava in casa il solo reddito è una tragedia). La variazione è dell’1,2%. Potrebbe essere una fluttuazione casuale, e non l’emergere di una tendenza. Per poter valutare è necessario almeno vedere una serie storica più lunga.
Seconda considerazione. In un anno ci sono 365 giorni. Nel 2005 e nel 2006, quindi, in Italia si sono verificate in media 3,5 morti bianche al giorno. Paradossalmente, quella di ieri è stata una giornata buona. Altro che emergenza, verrebbe da commentare, se non si trattasse di un argomento su cui non si scherza.
Terza considerazione. Non mi ricordo nel 2005 e nel 2006 un solo articolo di giornale sull’argomento, non con questa evidenza, quanto meno. Bene che i giornalisti se ne occupino adesso, ma allora di che si occupavano? Ovvio, di qualche altra emergenza, vera o creata ad arte: gli incendi boschivi, le piogge torrenziali, i rifiuti in Campania, il riscaldamento globale, i pezzi di ghiaccio che cadono dal cielo (ve lo ricordate, qualche anno fa? ne eravamo bombardati, a leggere i giornali e a guardare i telegiornali! Poi, come erano venuti, sono spariti nel nulla).
Quarta e ultima considerazione. Cito ancora l’articolo di Metro: “dall’inizio del 2007 (escluse le due vittime di ieri) ci sono stati 304 morti sul lavoro”. È un ulteriore campanello d’allarme, no? O così sembra dal contesto. Ma facciamo un altro piccolo calcolo (niente paura, sempre roba da elementari). Dall’inizio dell’anno all’altro ieri sono passati 105 giorni. In media, quest’anno, ci sono stati finora 2,9 morti bianche al giorno. Se si fosse mantenuta la media giornaliera dell’anno scorso, avremmo avuto nello stesso periodo 368 morti. Si sono salvate, nei primi mesi di quest’anno, 64 vite umane. Se questo ritmo dovesse continuare fino alla fine dell’anno, i morti sarebbero 1.057, 223 in meno dell’anno scorso. Il ragionamento è un po’ semplificato, perché purtroppo anche gli incidenti sul lavoro hanno una loro stagionalità (nell’edilizia sono più frequenti nei mesi caldi e di bel tempo), ma aiuta a capire dove si annidano le trappole della disinformazione.
Conclusione: che fare, per informarci più correttamente? la parola d’ordine è disintermediazione. Che vuol dire: andare direttamente alle fonti e usare gli strumenti che abbiamo, soprattutto il nostro senso critico. Le fonti: abbiamo il web e Google, tutto è a portata di mouse. In questo caso, e con qualche difficoltà, in 10 minuti ho trovato la banca dati dell’Inail (ma è soltanto un esempio). Il senso critico: non dobbiamo avere paura di “far di conto”, anche se a scuola ci hanno terrorizzato con la matematica e, nel nostro paese di santi navigatori legulei e commissari tecnici della nazionale, preferiamo una bella argomentazione capziosa a un solido ragionamento quantitativo. Tre punti su questo. Primo, molti strumenti li abbiamo già: e sono le elementari capacità aritmetiche e ancora di più l’abitudine alla comparazione, a mettere in rapporto tra loro misure quantitative. Secondo, altri li possiamo trovare sul web: soprattutto un aiuto a interpretare le cifre (i famosi metadati di cui ho già parlato sul blog). Un buon esempio è il sito dell’Istat, alla voce Strumenti. Terzo, dobbiamo imparare a discernere le informazioni statistiche di buona qualità. Qui il discorso è lungo e complicato, ma in genere le fonti statistiche ufficiali internazionali sono di buona qualità, se non altro perché devono rispondere a standard internazionali, sono sottoposte alla critica attenta degli accademici e delle associazioni di cittadini e consumatori e, soprattutto, sono sotto gli occhi di tutti. Una presentazione interessante la trovate sul sito Il valore dei dati: saperne di più, decidere meglio.